Si è appena concluso al Policlinico Gemelli di Roma il settimo congresso internazionale MIO-Live dedicato alla radiologia interventistica, procedura mininvasiva che non prevede né anestesia generale, né esposizioni chirurgiche. Il professore Roberto Iezzi spiega tipologie di trattamenti, ambiti di applicazione, pazienti eleggibili e ultime innovazioni
Agisce in maniera complementare o alternativa alla chirurgia, alla radio e alla chemioterapia nel trattamento dei tumori. Si chiama radiologia interventistica ed è una disciplina nata nel terzo millennio che utilizza le metodiche di imaging (fluoroscopia, ecografia, TAC e RMN) non solo per giungere ad una diagnosi, ma come guida per trattamenti loco-regionali e mininvasivi.
A questa branca super specialistica della radiologia, ogni anno, la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS dedica il congresso internazionale MIO-Live (Mediterranean Interventional Oncology). L’edizione 2022, la settima, si è conclusa ieri ed ha visto la partecipazione della Società di Interventistica Oncologica americana (SIO), di quella europea (CIRSE) e di due società scientifiche coreane (KSIR e KSITA).
È da poco più di un decennio che la radiologia interventistica ha trovato applicazione anche in ambito oncologico: «Sono due le tipologie di trattamento utilizzate – spiega Roberto Iezzi, direttore della UOC di Radiodiagnostica di Gemelli Molise, radiologo interventista dell’UOC di Radiologia d’Urgenza del Gemelli e professore associato di Radiologia all’Università Cattolica -. È possibile intervenire per via percutanea o intra-arteriosa. Nel primo caso si agisce attraverso l’introduzione dall’esterno, direttamente nella lesione, di strumenti – in genere aghi – che determinano “bruciature” delle lesioni stesse. Nel secondo, invece, la porta d’ingresso è un vaso arterioso (solitamente si “entra” dall’arteria femorale all’inguine, di recente si è cominciato ad utilizzare l’arteria radiale al polso)», aggiunge Iezzi.
Queste procedure non prevedono né anestesia generale, né esposizioni chirurgiche, garantendo al paziente una ripresa molto rapida. «È un trattamento mirato, sicuro, efficace e accessibile anche a pazienti che non possono essere operati con chirurgia “classica”, né sedati, per la sussistenza di altre condizioni cliniche o di comorbidità», aggiunge Iezzi.
Il Gemelli è centro di riferimento nazionale e internazionale in questo campo: ogni anno i suoi specialisti effettuano oltre 4 mila procedure di radiologia interventistica, metà delle quali in ambito oncologico. «Ogni settimana ci riuniamo in board multidisciplinari per selezionare i pazienti e le lesioni per cui la radiologia interventistica oncologica risulta più adeguata – dice il professore -. Vengono trattati per lo più individui affetti da patologie epatiche, tumori primitivi o secondari, ma negli ultimi anni anche tumori polmonari, renali ossei, fino alle applicazioni più recenti per il trattamento di tumori del pancreas, della prostata e ginecologici».
I trattamenti di radiologia interventistica sono mininvasivi, ma non scevri da complicanze. «Il primo rischio può essere rappresentato da una selezione non idonea del paziente: la radiologia interventistica oncologica non può essere utilizzata indistintamente per qualsiasi tipo lesione – sottolinea Iezzi -. Entrando più nello specifico delle singole procedure, con un trattamento di tipo percutaneo, ad esempio, il rischio – contenuto e valutato in maniera accurata caso per caso – potrebbe essere quello di sanguinamento».
Ed è proprio la precisione dei trattamenti una delle caratteristiche che rendono la radiologia interventistica oncologica una delle branche più specialistiche, moderne e hi-tech della medicina. «Le tecniche di imaging ci consentono di visionare in maniera accurata anche lesioni piccolissime. I diversi materiali, di calibro sempre più ridotto, poi, offrono la possibilità di migliorare la performance».
Nonostante i passi da gigante degli ultimi anni, la radiologia interventistica punta ancora più in alto: «Miriamo a trattamenti ambulatoriali, da effettuare in regime di day hospital, compatibili con un ottimo livello di qualità di vita e una ripresa rapida delle attività quotidiane del paziente. Oltre a rappresentare un’alternativa o un ausilio ai trattamenti tradizionali (chirurgia, radio e chemioterapia) possono essere immunomodulanti, ovvero – conclude Iezzi – incrementare la risposta all’immunoterapia, oggi considerata l’ultima frontiera della lotta al cancro».
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