Il Presidente UNPISI Maurizio Di Giusto ricorda: «Ho passato giornate intere all’interno degli ospedali in cui lavoro per definire i percorsi sporco-pulito, i percorsi di smaltimento: un lavoro oscuro è stato dietro a chi era materialmente in trincea»
I dati dell’Inail sui contagi da Covid-19 sul lavoro non devono spaventare. Parola di Maurizio Di Giusto, Presidente UNPISI, Unione Nazionale Personale Ispettivo Sanitario d’Italia, e presidente della Commissione d’Albo dei Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro di Firenze, Arezzo, Prato, Pistoia, Lucca e Massa Carrara.
Secondo il report dell’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro alla data del 30 giugno sono 49.986 i nuovi contagi sul lavoro, 965 in più rispetto al monitoraggio del 15 giugno e pari a circa un quinto delle denunce di infortunio pervenute all’Istituto dall’inizio dell’anno. Picco nel settore della sanità con l’81,2% dei contagi e il 36,6% dei decessi.
«Bisogna analizzare questi dati con una diversa chiave di lettura. Innanzitutto bisogna sottolineare che molte di queste denunce di infortunio sono da contatto con paziente Covid positivo – spiega Di Giusto a Sanità Informazione -. Non tutti i 50mila del dato Inail hanno contratto la malattia. Queste persone sono state sottoposte ad accertamenti, come il tampone, ma non hanno preso il virus. Tolti questi, che sono la maggioranza, se vediamo il numero di decessi e contagi che ci sono stati nella popolazione, considerando il contatto di medici e infermieri nei reparti con i contagiati, in teoria avremmo potuto ipotizzare un numero potenzialmente maggiore di contagiati. Questo fortunatamente non è accaduto perché altre professioni sanitarie, come i Tecnici della prevenzione, hanno agito con attività di prevenzione, di formazione sull’utilizzo dei Dpi, di addestramento alla vestizione nei reparti».
«Io personalmente ho passato giornate intere all’interno degli ospedali in cui lavoro – ha aggiunto – per definire i percorsi sporco-pulito, i percorsi di smaltimento e dei pazienti, l’ingresso e l’uscita all’interno delle stanze: un lavoro oscuro è stato dietro a chi era materialmente in trincea. I contagi sono avvenuti anche nelle altre professioni sanitarie come i tecnici di radiologia, i fisioterapisti, gli stessi Tecnici della prevenzione che hanno lavorato insieme agli Assistenti Sanitari nell’esecuzione dei tamponi. Fortunatamente l’organizzazione che c’è stata, le competenze delle professioni sanitarie in generale hanno compensato la carenza atavica sotto gli occhi di tutti dei dispositivi di protezione. Ancora oggi, fortunatamente con meno intensità, i Dpi arrivano talvolta non in quantità sufficiente».
Con la fase 2 e la ripresa delle attività purtroppo però si è tornati a morire sui luoghi di lavoro, come accaduto nei giorni scorsi a Roma dove due operai hanno trovato la morte precipitando da una altezza di 20 metri. Un tema particolarmente caro al presidente Di Giusto: «È la triste realtà, con la ripresa delle attività e dei cantieri sono tornati gli incidenti. Sicuramente non aiutano le corse nei tempi delle committenze: commesse da chiudere, necessità di lavorare di più per cercare di compensare quello che non è stato guadagnato nei mesi scorsi. Ci sono una serie di fattori sociali e organizzativi che si vanno a sommare ad altri fattori che già sono presenti quando si parla di sicurezza nei luoghi di lavoro».
Anche per i Tecnici della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro si apre la partita del rafforzamento della sanità territoriale, diventata ormai una esigenza imprescindibile dopo l’emergenza Covid. Ed è dedicato alle attività di prevenzione il primo punto del piano “Potenziamento e riorganizzazione della rete di assistenza territoriale” elaborato dalla FNO TSRM e PSTRP in cui si chiede «il recupero alla piena funzionalità dei dipartimenti di prevenzione che permetterebbe di avere una cabina di regia attraverso cui le azioni e gli interventi di prevenzione collettiva possano trovare un coordinamento efficace».
Si ipotizzano interventi mirati come la sorveglianza e vigilanza negli ambienti di vita e nei luoghi di lavoro, la valutazione del rischio biologico, in ambito di popolazione generale e per gruppi ad elevata esposizione, la valutazione del rischio chimico e fisico in ambito di popolazione generale e per gruppi ad elevata esposizione.
«In questi mesi – conclude Di Giusto – c’è stata una rincorsa a produrre atti, Dpcm e a cercare personale che si occupasse di fare i controlli delle regole sanitarie andando a cercare tra forze di polizia con competenze non proprie perché qui si parla di problemi di igiene e sanità pubblica dove invece all’interno dei dipartimenti c’è personale che si occupa di questo. Fortunatamente questo in parte è stato rivisto in corsa e oggi molti colleghi vanno all’interno dei locali, degli esercizi commerciali, dei luoghi di lavoro a verificare quelle che è il mantenimento delle indicazioni dettate dai Dpcm sul riavvio delle attività».
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