Il noto giornalista è autore del libro “Mai più eroi in corsia. Cosa ha insegnato il coronavirus al Ssn”. E sui negazionisti: «C’è una parte che fa politica su questa emergenza in maniera abbastanza orripilante»
«Ho voluto scrivere una sorta di libretto di istruzioni per capire in profondità la sfida che il Covid ha lanciato al nostro Ssn. Come affrontare la nuova ondata? Con prevenzione, socio-sanità e implementazione della medicina che ha subito tagli negli ultimi anni». Con queste parole il giornalista Riccardo Iacona spiega ai nostri microfoni cosa lo ha spinto a scrivere il libro “Mai più eroi in corsia. Cosa ha insegnato il coronavirus al Ssn”, in cui ripercorre la cronaca dei mesi più difficili dell’emergenza Covid a partire dal 21 febbraio, giorno in cui è stato ricoverato il primo paziente italiano. Un libro che potrebbe essere utile anche a chi non crede a quel che sta succedendo e al grido di “non vogliamo una dittatura sanitaria” protesta in piazza perché contrario all’uso delle mascherine o ai provvedimenti restrittivi previsti dal governo. Di loro Iacona pensa che «esiste una fetta di Italia che fa politica su questa emergenza in maniera abbastanza orripilante».
«Ho scritto un libro soprattutto per cercare di capire cosa è successo, quali sono stati gli errori commessi tra fine febbraio e aprile, in modo tale da provare a non ripeterli più. L’ho chiamato “Mai più eroi in corsia” perché volevo smontare l’immaginario in cui siamo stati quelli che, a mani nude, sono riusciti a contenere il problema. No, non siamo riusciti a contenere benissimo la situazione e ora dobbiamo stare molto attenti a quel che succederà nelle prossime settimane. In sostanza, questo libro è una sorta di libretto di istruzioni per capire in profondità qual è la natura della sfida che il coronavirus ha lanciato al Servizio sanitario nazionale. Posso concentrare il succo in tre parole: prevenzione, socio-sanità e implementazione di tutta quella medicina “negletta” che ha subito tagli negli ultimi anni e che è l’unica arma che abbiamo per contenere l’epidemia sul territorio. Ad oggi, i servizi sanitari regionali sono già sotto stress e stanno per arrivare settimane durissime. Questa risposta va data subito, perché è vero che noi dobbiamo essere bravi e indossare le mascherine ma dobbiamo anche avere dei servizi sanitari regionali che, di fronte all’aumento dei casi, siano in grado di fare tamponi, tracciare i positivi, assistere a livello domiciliare e isolare. Per fare questo ci vogliono uomini, non lo si può fare online. Ci vogliono soldi che vanno impiegati subito. Già vediamo regioni in difficoltà. Anche il tema dei tamponi è un argomento critico, visto che le risposte arrivano dopo giorni. Ecco, se facciamo così poi rischiamo che la situazione vada fuori controllo. Rischiamo di rivivere quel che è successo il 21 febbraio quando è arrivato il primo paziente, Mattia, all’ospedale di Codogno, e improvvisamente abbiamo scoperto che la base del contagio era già talmente grande che era impossibile fare qualsiasi tracciamento epidemiologico. Abbiamo già dovuto chiudere il Paese. Non vogliamo chiuderlo più».
«Lo consiglierei certamente. Ma il punto è che quelle persone vanno avanti per partito preso. C’è un certo atteggiamento condiviso da tanti movimenti che si uniscono: ci sono, ad esempio, gli anti-vaccinisti e le frange di estrema destra che parlano di “dittatura sanitaria”. Insomma, c’è una parte che fa politica su questa emergenza in maniera direi abbastanza orripilante. Di sicuro non sono un esempio da seguire: sono persone che stanno mettendo a rischio la salute pubblica».
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