Due studi dell’Istituto Villa Santa Maria di Como, pubblicati sul Journal of Infection, approfondiscono casi asintomatici fra bambini e adolescenti dimostrando che possono risultare positivi al tampone per lunghi periodi a causa della cariche virali alte
Bambini e ragazzi che sono stati affetti dal coronavirus, a prescindere dai sintomi dell’infezione da Covid-19, possono risultare positivi al tampone nasofaringeo per periodi lunghissimi a causa delle cariche virali iniziali estremamente alte. È per questo che è importante conoscere le cariche virali nei soggetti positivi – ovvero la concentrazione del virus nell’organismo: perché questo può fare una grande differenza nella gestione della sanità pubblica. Abbiamo approfondito il tema con il professor Enzo Grossi, Direttore Sanitario di Villa Santa Maria, Centro Multiservizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza con sede a Tavernerio, in provincia di Como.
Professore, da cosa nasce l’interesse per le cariche virali nei soggetti positivi al coronavirus?
«Noi ci siamo interessati al tema delle cariche virali dopo che alcuni ricercatori in Francia, negli Stati Uniti ma anche in Cina, hanno messo in correlazione i valori della carica virale – cioè quante copie di RNA si possono contare nel campione – con la possibilità di coltivare il virus. Il test, infatti, in realtà, non definisce la presenza del virus ma quella di codici genetici, frammenti di virus che non è detto sia vitale. Dagli studi di laboratorio emerge che se la carica virale è sotto le 10.000 copie di RNA non si riesce mai a coltivare il virus. Questo vuol dire che, soprattutto i soggetti asintomatici con una carica virale bassa, possono essere positivi ma non contagiosi. E questo farebbe un’enorme differenza. E per questo che conoscere i valori di carica virale è un’informazione molto preziosa».
Cosa trattano i due studi che lei ha diretto e che sono stati pubblicati sul Journal of Infection?
«In un primo studio effettuato su una trentina di soggetti abbiamo visto che queste cariche virali oscillavano in maniera marcata nel tempo con la tendenza a ridursi nel tempo. La nostra ipotesi è che, quando la carica virale scende sotto una data soglia – che va stabilita – i soggetti vengono definiti positivi ma in realtà non sono più contagiosi e, probabilmente, non è necessario che siano isolati. Il secondo studio descrive un caso singolo: un bambino di dieci anni del nostro istituto è rimasto positivo per circa tre mesi, aveva all’inizio una carica virale altissima che è scesa piano piano e si è stabilizzata sugli stessi livelli per alcune settimane fino ad azzerarsi».
Quali sono le conclusioni a cui siete arrivati?
«Le conclusioni a cui arriviamo sono due: quando la carica virale si abbassa sotto una certa soglia il soggetto non è più infettivo e si può togliere dall’isolamento. Di conseguenza, sarebbe opportuno, quindi, che i laboratori nel definire un tampone positivo quantificassero la carica virale così come si fa con i comuni esami di laboratori. Questo permetterebbe di gestire meglio le cose a livello di sanità pubblica».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato