«In Italia migliaia di tamponi anche a chi non presenta segni di malattia: questa ricerca così accurata e puntuale può portare ad avere più casi positivi. Cerchiamo il virus con molta più attenzione rispetto agli altri Paesi» precisa a Sanità Informazione il presidente Simit Massimo Andreoni
«L’epidemia si sta diffondendo ma non in maniera vertiginosa. La mortalità interessa, quasi nella totalità dei casi, persone anziane e con comorbidità». Gli ultimi dati di infezione da nuovo coronavirus in Italia parlano di più di duecento contagiati. Si sono registrati i primi casi anche in Liguria, Toscana e Sicilia. La situazione è seria e da non sottovalutare, «ma le misure di quarantena obbligatoria e sorveglianza attiva disposte dal Governo sono, al momento, corrette e sufficienti». È questo il pensiero del professor Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali Simit che, nell’intervista a Sanità Informazione, fa il punto della situazione.
Presidente Andreoni, che tipo d’infezione è quella da nuovo coronavirus?
«È un’infezione virale, un virus che dall’animale, sembra dal pipistrello, è passato all’uomo. Questo passaggio, che si definisce salto di specie, è un evento sempre molto pericoloso, perché l’essere umano viene infettato da un virus che non ha conosciuto precedentemente, è nuovo per lui e questo determina il fatto che non ha nessuna difesa immunitaria nei suoi confronti. Quando questo fenomeno accade, così come è accaduto per l’HIV e la SARS, effettivamente c’è un grande pericolo che si possa sviluppare una pandemia, ossia che il virus si riesca a diffondere in maniera non controllata tra tutte le persone e in tutto il mondo. Ad oggi, non possiamo ancora di parlare di pandemia per il Covid-19, ma il rischio c’è».
Dai dati registrati finora, parliamo di una mortalità bassa?
«È una mortalità intermedia, più bassa della letalità della SARS che aveva una mortalità di quasi il 10%. Il tasso di letalità di questo virus è intorno al 2,5%, questo significa che su 100 persone ce ne sono 2,5 che muoiono. Confrontato con l’influenza, che ha una mortalità dello 0,1 %, è una mortalità più alta, ma non altissima. E poi, soprattutto, la mortalità interessa quasi nella totalità dei casi persone anziane e con comorbidità, le più fragili».
Qual è la situazione attuale, dai numeri registrati finora in Italia?
«Dai dati che abbiamo in Italia possiamo dire che l’epidemia si sta diffondendo ma non in maniera vertiginosa, è abbastanza controllata. Nella maggior parte dei casi l’infezione decorre in maniera o del tutto asintomatica o con pochi sintomi. In questo senso, prendere l’infezione non vuol dire avere una polmonite gravissima: nella maggior parte dei casi, vuol dire non sviluppare nessuna malattia; se compare la malattia, in casi molto rari sarà grave e potrebbe portare a problemi seri fino ad arrivare anche alla morte.Le persone più anziane certamente hanno un sistema immunitario più fragile degli altri e anche altre comorbidità».
Perché il numero dei contagi in Italia è di gran lunga superiore agli altri Paesi europei?
«Una risposta certa su questo non l’abbiamo: certamente una cosa che possiamo dire è che noi in Italia stiamo facendo migliaia di tamponi a persone che non presentano segni di malattia ma che sono state in qualche modo a contatto con persone malate. Questa ricerca così accurata e puntuale evidentemente determina il fatto che noi potremo avere molti più casi emersi proprio perché cerchiamo il virus con molta più attenzione rispetto agli altri Paesi».
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Secondo lei, a chi devono essere fatti i tamponi?
«Anche alle persone che non presentano sintomi. Questo è il sistema che permette di controllare la diffusione della malattia; se noi troviamo il virus anche nelle persone non malate le mettiamo comunque in quarantena, in un sistema controllato e sorvegliato in modo tale da verificare se sviluppano la malattia e che non la trasmettano ad altri. Fare tanti tamponi e trovare la positività in gente sana è estremamente utile per fermare l’epidemia».
A livello di prevenzione, cosa possiamo fare?
«Noi dobbiamo fare attenzione quando ci troviamo nelle zone interessate dalla circolazione del virus e quindi, al momento, solo in alcune Regioni. Ci sono da adottare alcune precauzioni: un minimo di distanza dalle persone, soprattutto se starnutiscono o tossiscono perché le goccioline del virus arrivano fino a un metro e mezzo da noi. Poi, dobbiamo lavarci le mani spesso perché possono essere un veicolo che trasporta il virus; acqua calda e sapone in maniera energica e per un tempo sufficientemente lungo è già un buon sistema, ma sono efficaci anche i detergenti ambientali semplici come idrogel alcolici, ipoclorito di sodio, alcol diluito. Sono ottimi strumenti per sanificare l’ambiente e uccidere il virus se fosse presente sulle nostre mani».
Le misure adottate finora sono corrette e sufficienti?
«Le misure di contenimento devono essere limitate in questo momento alle zone dove c’è circolazione del virus. Chiudere le scuole o disporre misure che riducano l’accalcarsi di persone è corretto. Ma chiudere le scuole dove il virus non è segnalato non avrebbe alcun senso. C’è un sistema di sorveglianza molto attento: se il virus dovesse circolare anche nelle zone per ora non coinvolte, saremo pronti a intervenire».
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