Parla il titolare dello studio legale in cui lavora l’avvocato che, nelle scorse settimane, era stato indicato anche dal Presidente De Luca come il primo caso di Coronavirus nella Regione. «Era stato definito irresponsabile ma sia lui che noi dello studio abbiamo preso tutte le precauzioni possibili»
Il “paziente 1” campano è stato dimesso questa mattina dall’ospedale Cotugno, dove era ricoverato per una polmonite causata dal Coronavirus. Le sue condizioni di salute, nel decorso della malattia, erano state giudicate serie ma non tali da giustificare un trasferimento nel reparto di rianimazione. Finisce dunque nel migliore dei modi la vicenda dei sette contagiati, tutti appartenenti ad un importante studio legale napoletano, che aveva fatto molto discutere ad inizio mese.
«Quando si è cominciato a parlare del mio collega infetto dal Coronavirus – spiega a Sanità Informazione il titolare dello studio legale napoletano di cui faceva parte l’avvocato –, lo si è definito “paziente 1”, anche se non so se lo sia davvero. Certamente, però, è stato uno dei primi infettati in Campania. Circa quattro settimane fa – spiega il legale – era tornato da un viaggio di lavoro a Milano, dove noi abbiamo un altro studio. Sia chiaro che non è mai stato nella zona rossa, che all’epoca era già stata delimitata. Quando è arrivato qui, a Napoli, stava benissimo, non aveva alcun sintomo, e così è stato per i primi giorni. Fino a quando la sera del martedì successivo inizia a non sentirsi bene. Gli telefono il mercoledì mattina, intorno alle 7.30, e mi dice: “Guarda, io ho 38 e mezzo di febbre e il mal di gola”. Allora io cerco di tranquillizzarlo, gli dico che secondo me non è niente di grave, però gli suggerisco di andare a fare comunque il tampone per sicurezza. Allora lui chiama il 118 e i vari numeri da fare in questa situazione ma non riceve risposta. Quindi decide di andare al Cotugno in auto, da solo. Al pronto soccorso, però, gli fanno problemi e non vogliono visitarlo perché ha una temperatura inferiore ai 37 gradi. Il punto è che, in mattinata, aveva preso una tachipirina per far scendere la febbre. Lui però insiste e, alla fine, glielo fanno».
L’avvocato dunque torna a casa e si mette in autoquarantena in attesa degli esiti del tampone. Passano i giorni, però, e la risposta non arriva. «A questo punto – spiega ancora il legale – scrive una Pec sollecitando la comunicazione dei risultati. La risposta è che risulta positivo». Il problema, però, è che nei giorni trascorsi da quando è tornato da Milano alla diagnosi di Covid-19 l’avvocato napoletano ha incontrato diversa gente, tra cui praticamente tutti i collaboratori dello studio, i quali si mettono subito in quarantena, addirittura prima di sapere gli esiti del tampone: «Quando è tornato da Milano, ripeto, senza presentare alcun sintomo, è venuto nello studio e probabilmente (sottolineo probabilmente perché nessuno ne ha la certezza matematica, neanche se se lo sia effettivamente preso a Milano o in aeroporto), tra lunedì e martedì infetta anche gli altri colleghi. Una volta che sappiamo che gli è stato diagnosticato il Coronavirus andiamo a fare il tampone tutti. Due giorni dopo arriva la risposta: per sei persone il test risulta positivo, tutti gli altri sono negativi, tra cui io». Di queste sei persone, solo una verrà ricoverata. Gli altri restano a casa e, a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, guariscono tutti. Tra questi c’è anche una persona risultata positiva ma totalmente asintomatica: «Né febbre, né un colpo di tosse», spiega l’avvocato.
Oltre al danno, però, lo studio legale ha rischiato di subire anche una beffa molto pesante: «Nella prima fase – spiega ancora il legale –, quando si viene a scoprire la positività del mio socio, viene anche messo in dubbio il suo senso di responsabilità, suo e di tutto il nostro studio. Addirittura il Presidente della Regione, Vincenzo de Luca, in una conferenza stampa ha usato parole né gentili né corrette nei confronti di quello che veniva identificato come il portatore della malattia in Campania. Nei giorni successivi, anche grazie alla stampa locale, siamo riusciti a dimostrare non solo che il nostro socio non aveva avuto alcun atteggiamento irresponsabile, ma che anche lo studio si è comportato nel migliore dei modi: ci siamo messi in quarantena volontaria prima di sapere se il tampone aveva avuto risultato positivo o meno e abbiamo mandato una Pec a tutti gli uffici giudiziari spiegando che, nonostante non sapessimo ancora il risultato del test, per precauzione non ci saremmo presentati alle future udienze. Ricordiamoci poi che stiamo parlando di un momento in cui si poteva girare per il Paese senza obbligo di mettersi in autoquarantena una volta tornati a casa. Non dimentichiamo neanche che perfino i più importanti virologi italiani in quei giorni hanno fatto dichiarazioni che, se lette adesso, potrebbero sembrare quanto meno imprudenti. Ecco, in questo contesto – spiega l’avvocato – noi rischiavamo di venire additati come untori di tutta la Regione. Per questo, una volta finita tutta questa storia, valuteremo se ci saranno i presupposti per portare in Tribunale il Presidente della Regione per diffamazione e procurato allarme».
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