La presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei chimici e dei fisici, spiega: «Come prescrive l’OMS, serve alcol etilico, acqua ossigenata, glicerina, acqua distillata oppure acqua bollita. Fondamentale seguire l’ordine». Nel vademecum anche la pulizia degli abiti e quali sostanze usare per pulire le superfici
«Fare molta attenzione e seguire l’ordine esatto delle sostanze da mescolare. Solo così si può realizzare un igienizzante ‘fatto in casa’». Nausicaa Orlandi, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei chimici e dei fisici, spiega a Sanità Informazione i passaggi per arrivare a realizzare una ‘amuchina domestica’ e fronteggiare l’ormai difficile reperibilità di un prodotto che sembra essere uno dei migliori alleati nella lotta al coronavirus. «Ma il gel serve solo per quando si è fuori, in casa è più che sufficiente un sapone» spiega Orlandi, che poi ricorda tutte le altre sostanze che possono essere di aiuto per l’igiene delle mani: «Esistono tanti altri prodotti, ognuno con le sue peculiarità. Il classico che si trova negli ospedali è la clorexidina, un potente battericida, che difficilmente si trova al supermercato, però è un biocida a spettro limitato, agisce su batteri Gram-positivi ma non negativi. I principi attivi disinfettanti sono tanti: dagli àlcoli ai cloroderivati, i derivati fenolici, gli iodofori, il perossido di idrogeno, gli aldeidi».
In tempi di psicosi, non sempre però si riescono a reperire questi prodotti. E allora, non resta che provare a creare un gel ‘home made’ seguendo, in primis, le indicazioni dell’OMS: la ricetta prevede 833 ml di alcol etilico al 96%, 42 ml di acqua ossigenata al 3%, 15 ml di glicerina al 98%, acqua distillata oppure acqua bollita e raffreddata fino ad arrivare ad 1 litro.
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«È fondamentale seguire l’ordine dei passaggi – spiega Orlandi -. Prima bisogna mettere l’alcol, che si può trovare al supermercato (va bene quello per fare i liquori), poi l’acqua ossigenata. Per dosare i millimetri basta procurarsi una siringa da iniezione. Poi va la glicerina che si trova in farmacia perché molti la usano per fare le creme. È un po’ vischiosa, è quella che dà la forma del gel. Poi si aggiunge l’acqua distillata, oppure bollita. Infine bisogna far raffreddare e versare in bottiglie di plastica o di vetro. Se non si rispetta l’ordine degli ingredienti, si avranno difficoltà di miscibilità».
Ma attenzione: giocare al ‘piccolo chimico’ può essere rischioso. Per questo è opportuno prendere le dovute precauzioni: «Non bisogna mettersi vicino ai fornelli perché l’alcol etilico è altamente infiammabile – sottolinea Orlandi -. Sarebbe meglio avere i guanti e anche gli occhiali per evitare che il liquido entri in contatto con gli occhi.
Per sconfiggere il coronavirus, che secondo alcuni studi sarebbe in grado di resistere molto a lungo sulle superfici, è fondamentale che nel composto ci sia la componente alcolica, purché nella giusta percentuale.
«Prendere l’alcol puro e lavarsi le mani non è uguale a lavarsi le mani con un prodotto contenente una certa percentuale di cloro all’interno» sottolinea Orlandi che smentisce un luogo comune che vuole la candeggina diluita come alternativa all’amuchina. «La varechina è costituita da una soluzione acquosa al 10% dell’ipoclorito di sodio con cui generalmente viene stabilizzata aggiungendo del carbonato di sodio o del solfato di sodio, quindi viene mantenuta stabilizzata perché altrimenti non si potrebbe mantenere nel tempo. La candeggina è sensibile alla variazione di calore e di luce e viene messa in una confezione opaca. La concentrazione è al 10% dell’ipoclorito di sodio, mentre quella proposta dall’ISS è un ipoclorito di sodio all’1%» continua la presidente della FNCF. La candeggina invece va benissimo per pulire le superfici, ma anche qui attenzione a mischiare con altri prodotti chimici: «Il rischio più grosso – continua Orlandi – è che certe persone, per essere sicure di pulire bene, spesso mescolino la candeggina con ammoniaca, alcol, acido muriatico. Quest’ultimo unito alla candeggina può sviluppare cloro e diventare pericoloso. Anche l’acqua calda può dare origine a reazioni. I prodotti vanno usati così come è scritto, nella dose prevista. Viceversa, troppo diluiti potrebbero non fare effetto».
In base al vademecum della FNFC i disinfettanti chimici che possono uccidere il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) sulle superfici includono disinfettanti a base di cloro al 1%, solventi, etanolo al 75%, acido peracetico e iodoformio. Questo l’ordine crescente di resistenza dei microrganismi ai disinfettanti chimici: spore, micobatteri, virus senza rivestimento lipidico, funghi, batteri vegetativi, virus con rivestimento lipidico. I disinfettanti presentano diversi spettri di azione, e la loro efficacia è condizionata da molti fattori tra cui la caratteristica del prodotto, le modalità d’uso, la concentrazione di impiego.
I chimici hanno un ruolo importante anche nei processi di ‘sanificazione’ che sono in corso in tutta Italia in molti luoghi pubblici, a cominciare dai mezzi di trasporto. «C’è una normativa di riferimento, la legge 82 del 1994, poi modificata, che regolamenta la disciplina delle attività di pulizia, disinfezione, derattizzazione, sanificazione – spiega la Presidente FNCF -. C’è differenza tra le varie attività. La disinfestazione è l’eliminazione di piccoli animali tipo artropodi, parassiti, agenti infestanti. La disinfezione è l’insieme per distruggere o inattivare agenti patogeni. La sanificazione è l’insieme di pulizia, disinfezione, disinfestazioni e miglioramento delle condizioni microclimatiche per quanto riguarda temperatura, umidità e ventilazione e quindi per ridurre la proliferazione di batteri e virus. In ospedale si fa la sanificazione. A casa si fa la pulizia e la disinfezione. La sanificazione è un livello molto più alto».
Nel vademecum rilasciato dalla Federazione dei Chimici Fisici, oltre all’importanza di lavarsi le mani, c’è anche un richiamo a procedere al frequente lavaggio degli indumenti con acqua calda e detersivi o, in alternativa, esporre gli abiti al sole così da alterare i parametri ambientali che possano favorire la conservazione del virus.
La Federazione dei Chimici Fisici non è stata direttamente coinvolta dal ministro della Salute Roberto Speranza nelle attività emergenziali anti-coronavirus ma «rinnova la disponibilità sia al Ministro che al Capo della Protezione Civile».
Al momento non risultano chimici-fisici in situazione di difficoltà a causa dell’epidemia ma a far paura, sottolinea Nausicaa Orlandi, è il blocco dell’economia: «Sento di aziende bloccate, fornitori che non forniscono e clienti che non ordinano. L’impatto economico sarà pesante. La problematica che si può innescare è quella del panico. Boccaccio aveva sperimentato l’isolamento per peste. Diceva che il danno peggiore è che si elimina il vivere umano. Ciascuno è nemico di ciascuno. Questo allarmismo può ingenerare rischi economici e danni al nostro tessuto imprenditoriale ma anche a quello dei professionisti. Molte attività sono saltate».
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