Cauda (Gemelli): «Secondo uno studio il 25% dei francesi non ha alcuna intenzione di sottoporsi alla vaccinazione contro il coronavirus. Servirà uno sforzo importante da parte di infettivologi e medici di famiglia»
«L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha già condiviso con i laboratori di referenza nazionale, fra cui l’Istituto Superiore della Sanità italiano, i target genetici che consentono di separare il coronavirus da altri fenomeni virali; ora l’industria deve fare lo sforzo di di declinare questa sfida diagnostica in sistemi automatizzati. Mentre i virus influenzali andranno a complicare una situazione già non semplice, oggi per porci il termine della diagnosi differenziale e dunque per escludere un’infezione da Covid-19 è giusto andare per esclusione, affidandoci agli strumenti che attualmente abbiamo». Così Paola Stefanelli, prima ricercatrice presso l’Istituto Superiore di Sanità e parte della task force Covid dell’ISS che ha preso parte al webinar promosso dall’associazione Giuseppe Dossetti – I valori “Influenza stagionale o Covid 19: questo è il dilemma!”, che con il sottotitolo “Un’influenza non dovrà sembrare un caso Covid e un caso Covid non dovrà sembrare un’influenza” e prestigiosi ospiti ha provato a fare il punto su un fronte aperto e ormai in vasta discussione, ovvero le sovrapposizioni che si causeranno nelle prossime settimane quando all’epidemia da coronavirus si aggiungerà la stagione, abituale, dell’influenza.
Non un problema da poco. Il Lancet in un intervento pubblicato solo pochi giorni fa individuava la questione: «Ottobre vede l’inizio della stagione dell’influenza nell’emisfero boreale. Se entrambi i virus iniziassero a circolare simultaneamente, anche i sistemi sanitari meglio equipaggiati potrebbero andare sotto pressione». Non solo: il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus a giugno avvisava che «la sorveglianza rispetto all’influenza è stata o sospesa o è in declino in diversi paesi, e c’è stato un netto arresto nella condivisione delle informazioni dell’influenza e dei virus a causa della pandemia da Covid-19».
L’ha sottolineato anche Fabrizio Pregliasco, virologo e specialista di medicina preventiva all’IRCCS Galeazzi di Milano, presente al webinar dell’associazione Dossetti: «L’influenza è un mio vecchio pallino; come il coronavirus è una patologia a basso rischio specifico che però può determinare problemi molto seri e per questo io rimango convinto che questa malattia meriti un maggior impegno di ricerca in generale, anche al di fuori di questa difficile fase pandemica».
Giovanni Rezza, direttore della prevenzione per il ministero della Salute, è sulla stessa linea: «Vaccinare contro l’influenza è importante, in questo momento la domanda per vaccini è molta elevata, si sta vaccinando molto, sperando di raggiungere coperture più elevate rispetto agli scorsi anni, soprattutto per le categorie più a rischio».
Il Regno Unito, continua il Lancet, ha già ordinato 30mila dosi di vaccino antinfluenzali per vaccinare «una vasta gamma di gruppi sociali, la popolazione anziana, i lavoratori della sanità e dei servizi sociali, i bambini piccoli fra due o tre anni e in età scolastica», spiega la prestigiosa rivista medica. «Produrre centinaia di milioni di dosi è una sfida industriale incredibile in tempi rapidi», ha aggiunto Marcello Cattani, presidente del gruppo prevenzione di Farmindustria. «E in questo le imprese si stanno organizzando avendo fiducia e speranza dell’approvazione regolatoria; è allora importante che ci siano più vaccini e più candidati che possano arrivare all’approvazione».
Ma c’è un altro rischio, forse più pressante, che diversi partecipanti alla conferenza online hanno sottolineato. Il professor Roberto Cauda, in forza al dipartimento di Scienze Laboratorio e Infettivologiche dell’IRCCS Gemelli, ha sottolineato: «Il vaccino anti-coronavirus sarà accettato da tutti? Noi sappiamo di no. Uno studio francese diffuso durante la fase uno della pandemia ha evidenziato che il 25% dei francesi, indipendentemente da tutte le convinzioni politiche, dichiarava di non aver alcuna intenzione di sottoporsi alla vaccinazione contro il coronavirus. Cosa dobbiamo fare per accettare la terapia vaccinica alla vasta popolazione? Servirà uno sforzo importante da parte dei medici, degli infettivologi e dei presidi di medici di famiglia». Gli stessi che, insieme ai pediatri di libera scelta, dovrebbero essere «nelle condizioni di dirigere e consigliare ai pazienti il momento più corretto per effettuare un tampone, perché il test va effettuato in un determinato momento», aggiungerà dopo poco ancora la dottoressa Stefanelli.
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