Il coronavirus è entrato in Europa più volte, ed il primo focolaio potrebbe essere stato quello rintracciato a Monaco di Baviera, in Germania. Lo indica la mappa genetica pubblicata sul sito Netxstrain, fondato e diretto dal gruppo guidato da Trevor Bedford, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. La mappa, che ricostruisce una sorta […]
Il coronavirus è entrato in Europa più volte, ed il primo focolaio potrebbe essere stato quello rintracciato a Monaco di Baviera, in Germania. Lo indica la mappa genetica pubblicata sul sito Netxstrain, fondato e diretto dal gruppo guidato da Trevor Bedford, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. La mappa, che ricostruisce una sorta di albero genealogico del virus, indica che il focolaio tedesco potrebbe avere alimentato la catena di contagi al punto da essere collegato a molti casi in Europa e in Italia.
Analizzando il percorso e le mutazioni genetiche del coronavirus, gli studiosi hanno rilevato che «dal primo febbraio circa un quarto delle nuove infezioni in Messico, Finlandia, Scozia e Italia, come i primi casi in Brasile, appaiono geneticamente simili al focolaio di Monaco».
È una lettera pubblicata sul ‘New England Journal of Medicine‘ da un gruppo di studiosi tedeschi a raccontare la storia del caso bavarese. Già pubblicata il 30 gennaio con una serie di informazioni particolarmente rilevanti in merito ad un cluster di quattro pazienti a Monaco, nell’aggiornamento odierno si concentrano sul possibile paziente uno in Germania e in Europa, un manager tedesco risultato positivo al virus.
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33 anni, in buona salute, tra il 20 ed il 21 gennaio incontra una collega di Shanghai in visita a Monaco che non mostrava alcun sintomo. Durante il volo di ritorno in Cina, il 26 gennaio, si ammala e una volta rientrata nel suo Paese le viene fatto il tampone che è risultato positivo. I suoi contatti stretti vengono rintracciati e tra questi rientra anche il collega tedesco che, intanto, il 24 gennaio presentava mal di gola, brividi e mialgia. Il 25 gennaio arrivano la febbre a 39,1 gradi e la tosse, che tuttavia scompaiono nel giro di un paio di giorni. Il 27 gennaio torna a lavoro. E probabilmente lì inizia la catena di contagio. Quando viene testato per il coronavirus, dopo la segnalazione giunta dalla Cina, non ha febbre e sta bene, ma il test risulta positivo. Il 28 gennaio, altri tre dipendenti dell’azienda sono risultati positivi.
«Sembra che in un caso di infezione acquisita al di fuori dell’Asia la trasmissione si sia verificata durante il periodo di incubazione della donna cinese – scrivono gli studiosi -. Il fatto che le persone asintomatiche siano potenziali fonti di infezione può giustificare una rivalutazione della dinamica di trasmissione dell’attuale epidemia. In questo contesto, il rilevamento del virus in un’elevata carica virale di espettorato in un paziente convalescente (il paziente 1) destano preoccupazione. Tuttavia, la vitalità del virus rilevata sul campione in questo paziente rimane da dimostrare mediante coltura virale».
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