Il Segretario Nazionale Salvatore Di Fede: «L’attuale modello di presa in carico, basato sulla territorialità e la centralità del paziente, è una conquista minata dalle attuale misure di contenimento. Necessarie linee guida ad hoc»
L’emergenza Coronavirus ha imposto delle priorità nuove al nostro sistema sanitario. Dal potenziamento della rete ospedaliera, dei pronto soccorso e delle terapie intensive, al reclutamento urgente di personale in anestesia e rianimazione. Inevitabilmente, alcuni settori del comparto salute italiano sono stati momentaneamente lasciati indietro. Una “mancanza” determinata dal carattere di urgenza che quest’epidemia ci ha messo di fronte, ma che, di fatto, si ripercuote sull’assistenza ad ampie categorie di pazienti. Tra questi, i pazienti psichiatrici.
L’emergenza, e le relative misure per fronteggiarla, hanno di fatto interrotto i percorsi terapeutici individuali di cura, che si svolgono presso le strutture territoriali di salute mentale di cui dispongono i distretti sanitari. Dalla legge 180/78 (Legge Basaglia) infatti, la presa in carico dei pazienti psichiatrici è basata su unità operative di salute mentale, organizzate in ambulatori, centri diurni, e strutture residenziali o semiresidenziali.
È un modello fortemente improntato alla capillarità e alla territorialità ma, soprattutto, alla relazione terapeutica medico-paziente. Il follow up dei pazienti non riguarda solo l’aspetto psicoterapico e farmacologico, ma anche la loro autonomia e l’inserimento in un contesto lavorativo. Allo stesso tempo è previsto un supporto di tipo familiare, una rete costruita attorno alla famiglia del paziente per rendere ancora più sostenibile il percorso di inclusione. Ebbene, le attuali misure di distanziamento sociale e isolamento domiciliare impattano in modo devastante su questo modello di presa in carico, come ci ha illustrato il Segretario Nazionale di Psichiatria Democratica, Salvatore Di Fede. «Auspichiamo linee guida urgenti da parte del governo per non lasciare indietro i pazienti psichiatrici, che si trovano quindi a vivere un doppio disagio: alla stigmatizzazione sociale si aggiunge l’isolamento forzato che aggrava inevitabilmente la solitudine e acuisce le angosce».
Tutto è rimesso alle singole realtà, alla rete, pur corposa, di associazioni e organizzazioni. «La riforma Basaglia – spiega Di Fede – ha avuto il merito, tra gli altri, di porre per la prima volta il paziente psichiatrico al centro del percorso di cura, rendendolo soggetto e non più oggetto. Il mio auspicio è che questa conquista non venga messa in discussione dalla situazione attuale, seppur (speriamo) contingente». Cosa fare nell’immediato, dunque? «Stiamo spingendo – continua il Segretario – affinché le istituzioni assicurino in primo luogo il sostegno alle risorse impiegate in quest’ambito sanitario, già vessate dall’atavica scelta di puntare tutto sull’ospedalizzazione e poco sulla territorialità. Sicuramente la riapertura dei centri diurni e il potenziamento dell’assistenza domiciliare, certo tenendo ben presenti le misure di sicurezza e fornendo il personale di adeguati DPI, ma anche l’assistenza agli operatori delle cooperative sociali, un baluardo nel nostro sistema di presa in carico, attualmente in attesa di cassa integrazione ma che avranno bisogno di ben altre misure di supporto per ripartire col piede giusto una volta che l’emergenza sarà acqua passata».
Al momento, si cerca di far fronte con strumenti alternativi, non sempre sufficienti. «In questa fase – osserva Di Fede – non si più pensare di sopperire a tutte le lacune assistenziali per i pazienti psichiatrici con la digitalizzazione o i colloqui telefonici. I pazienti cronici più gravi continuano ad essere assistiti nelle strutture residenziali, il problema si pone principalmente per i pazienti domiciliari, il cui percorso è strettamente legato al rapporto umano e alla vicinanza fisica. Spero che sia obiettivo condiviso il cercare di mantenere in vita questo modello vincente, seppur nella tutela e nel rispetto delle attuali norme per la sicurezza degli operatori e dei pazienti. È fondamentale – conclude – più che mai in questo frangente, che gli utenti, le loro famiglie e gli operatori della salute mentale continuino a costruire insieme processi di inclusione sociale così come la legge 180/78 ha affermato in tutti questi anni in Italia».
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