Salute 28 Febbraio 2020 11:00

Coronavirus, Silvio Garattini: «Attenzione sì, panico no. Ogni anno in Italia 6mila morti da influenza»

Lo scienziato e farmacologo concorda con le misure adottate ma invita a ridimensionare l’emergenza: «Un sacrificio che dobbiamo accettare tutti perché è un virus nuovo, ma senza creare allarmismi o diventare ossessivi indossando mascherine o pagando cifre enormi per l’amuchina»

Coronavirus, Silvio Garattini: «Attenzione sì, panico no. Ogni anno in Italia 6mila morti da influenza»

«Le restrizioni si devono accettare come il male minore, va fatto perché dobbiamo essere sicuri, un domani, di aver fatto tutto il possibile. Dove si identificano i focolai, bisogna cercare di arginare la diffusione». Con queste parole Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, approva tutte le decisioni del Governo per cercare di contenere l’epidemia coronavirus. Allo stesso modo, però, nell’intervista rilasciata a Sanità Informazione, il farmacologo invita alla calma, ricordando non solo la mortalità per influenza stagionale in Italia ma anche il fatto che «abbiamo 10mila persone che muoiono per infezioni che sono resistenti agli antibiotici».

Professor Garattini, si muore più di influenza o di coronavirus? Secondo lei ci stiamo impressionando?

«Per quello che ne sappiamo, dai dati disponibili della Cina, sappiamo che sono soprattutto le persone più anziane a morire e, se facciamo il calcolo, sono 2500 i morti su un numero molto importante di persone. Più o meno, parliamo di più di 75mila ricoverati in ospedale, ma i numeri si abbassano notevolmente se ci riferiamo a tutti quelli che hanno l’infezione in modo leggero e per cui non hanno bisogno di essere ricoverati in ospedale. Bisogna capire come calcoliamo la mortalità. I decessi in Italia sono di persone in età avanzata o con patologie pregresse o erano già ricoverate in ospedale, è una mortalità che sembra essere anticipata dal virus, che è un po’ quello che succede con l’influenza. Non dimentichiamoci che in Italia abbiamo ogni anno 6mila morti da influenza che non sono dovute alla sola influenza, sono dovute al fatto che sono ammalati che hanno già fattori di rischio e malattie. L’influenza, se non sono vaccinati, fa precipitare la situazione, E non dimentichiamoci neanche che abbiamo 10mila persone che muoiono per infezioni che sono resistenti agli antibiotici. Dobbiamo sempre tenere presenti i parametri di riferimento. Io penso che bisogna essere molto attenti, come si sta facendo, è giusto, ma non bisogna avere il panico, considerando che non ce l’abbiamo per i morti da influenza. Lo accettiamo come se fosse una cosa regolare».

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Perché spaventa di più?

«Certamente perché è un virus nuovo; dell’influenza conosciamo molte cose e abbiamo un vaccino per chi lo vuole fare. Di questo virus invece sappiamo poco e non abbiamo un vaccino. Tanti Paesi ci stanno lavorando e speriamo che sia disponibile prima possibile, nei prossimi mesi. In quel caso, ci sarebbe la possibilità di una difesa che non richiede tutte le precauzioni che stiamo prendendo adesso. Naturalmente, il vaccino deve essere disponibile in quantità adeguate a tutti quelli che si vorranno vaccinare quindi ci vorrà un po’ di tempo».

È d’accordo con le misure di contenimento che sono state previste finora da Governo e Regioni?

«Sì, perché si tratta di un virus nuovo, quando ne conosceremo a sufficienza avremo maggiori possibilità di decisioni. È meglio prendere decisioni drastiche adesso piuttosto che pentirci di non averle prese. C’è bisogno, però, che le misure siano accettate dalla gente come un sacrificio che dobbiamo fare perché siamo di fronte a una cosa che conosciamo poco, ma senza creare allarmismi: tutti che vanno in giro con le mascherine o che pagano cifre enormi per l’amuchina. Sono utili ma non dobbiamo diventare ossessivi su queste cose. Le restrizioni si devono accettare come il male minore, va fatto perché dobbiamo essere sicuri, un domani, di aver fatto tutto il possibile. Dove si identificano i focolai, bisogna cercare di arginare la diffusione».

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Professore, quali sono le terapie che sono state utilizzate sui guariti dal momento che una cura non c’è?

«Siccome sono molti che guariscono per loro conto, non sappiamo se e quale trattamento ha fatto effetto o se il paziente sarebbe guarito in ogni caso. I trattamenti che si fanno sono trattamenti di cui non sappiamo l’efficacia. Si fanno perché non abbiamo nient’altro. Si usano i farmaci che erano stati utilizzati per la SARS, di cui però non abbiamo evidenze che fossero realmente efficienti e poi le terapie antivirali contro l’Aids perché sono disponibili, sappiamo le dosi, la tossicità e ne testiamo l’efficacia contro questo virus».

Da cosa dipende la guarigione?

«Dall’età, dalle difese dell’organismo, dalle comorbidità, dalla capacità di fabbricare anticorpi contro il virus. Dobbiamo contare sulle difese immunitarie di ciascuno: chi ha malattie ne ha, chiaramente, di meno».

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