Il Presidente della Fondazione Gimbe al governo: «Siano resi espliciti e riproducibili i criteri per l’attribuzione del livello di rischio. Riguarda la vita di 60 milioni di italiani». Poi sottolinea: «Le misure prese sinora sono troppo blande»
«Molti dicono che non è come a marzo, ma io dico che è peggio di marzo perché c’è il coinvolgimento del centro-sud, abbiamo di fronte parte dell’autunno e l’inverno, il personale sanitario è sotto pressione e meno motivato e ci sono attriti tra governo, regioni ed enti locali». È un quadro pessimista sull’andamento dell’epidemia da Covid-19 quello che Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha tracciato davanti ai senatori della Commissione Igiene e Sanità.
Le slide e i grafici mostrati in videoconferenza sono pieni di curve che si impennano e di dati preoccupanti. Tutto è ricominciato dalla prima settimana di ottobre.
«Il rapporto positivi-casi testati si è impennato fino a raggiungere quasi il 25% – ha ricordato Cartabellotta -. Quasi un soggetto su due testato è positivo al tampone molecolare in alcune regioni come Veneto e Valle d’Aosta. Se guardiamo il numero di casi per 100mila abitanti vediamo che l’epidemia è molto più diffusa rispetto a quanto indicano i numeri attuali».
«Le quattro curve (ricoveri ordinari, terapia intensive, casi e decessi) – ha ricordato, il presidente della Fondazione Gimbe – sono sostanzialmente sovrapponibili e sappiamo che la curva dei decessi ha circa una settimana di ritardo sulle altre. Sappiamo anche che esiste un rapporto costante di pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva: 10 a uno».
Il presidente di Gimbe ha spiegato le ragioni di questa situazione: «Purtroppo siamo in costante ritardo sul virus, anche perché dal contagio alla notifica passano 15 giorni. Il sistema di tracing è saltato in tutto il territorio nazionale. Ci sono diverse regioni che non hanno un dato di sorveglianza completo e vengono inserite tra quelle con rischio elevato».
Secondo Cartabellotta l’indice Rt da solo non può rappresentare un indicatore sufficiente: «Riflette i contagi di un mese fa. Servono altri parametri. Le misure prese sinora sono troppo blande rispetto alla velocità dei contagi e questo ritardo ci sta spingendo verso un lockdown totale».
Diverse le richieste che la Fondazione Gimbe pone al governo e molte riguardano l’accessibilità al database in formato open data a tutti i ricercatori per realizzare analisi indipendenti: «Stiamo prendendo decisioni senza dati affidabili – continua Cartabellotta -. Occorrono i numeri dei contagi comune per comune, mentre oggi conosciamo solo quelli per province. Dovremmo avere i dettagli per provincia e comune con dati di ospedalizzati, di persone in isolamento, dei tamponi e dei casi testati. Oggi abbiamo solo dati a livello regionale».
Infine, alla vigilia della divisione in tre dell’Italia come stabilito dall’ultimo Dpcm, Cartabellotta chiede «che siano resi espliciti e riproducibili i criteri per l’attribuzione del livello di rischio. Riguarda la vita di 60 milioni di italiani».
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