«Per stimare la circolazione del virus in Italia è utile un’indagine campionaria di popolazione con un test anticorpale, ma non sappiamo molto sulla durata o l’efficacia dell’immunizzazione. E senza un test efficace e accurato, c’è il rischio di falsi positivi che darebbero ai soggetti la falsa sensazione di essere protetti». L’intervista al Vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità Paolo Vineis
Realizzare un’indagine siero-epidemiologica nazionale su Covid-19 con un test anticorpale. È questa la proposta dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (Aie) contenuta in una nota indirizzata, tra gli altri, al Ministero della Salute, al Dipartimento di Protezione Civile e al Presidente del Comitato Tecnico Scientifico Covid-19. L’obiettivo? Stimare l’effettiva circolazione dell’infezione e valutare il grado di immunità della popolazione.
Così come altri virus, anche il SARS-CoV-2, infatti, lascia una traccia di risposta immunitaria nelle persone che ha infettato e, di conseguenza, chi ha avuto la Covid-19 può essersi immunizzato. La lenta riapertura del Paese potrebbe passare per questi esami rapidi del sangue che devono essere validati dai tecnici del Comitato scientifico; il rischio, infatti, è avere falsi positivi o falsi negativi. Ma quanto dura “la patente d’immunità” e quanto è efficace? E, soprattutto, chi è guarito è immune dal contagio?
A queste domande ha risposto il professor Paolo Vineis, Vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità, ordinario di epidemiologia all’Imperial College di Londra e Past President dell’Associazione Italiana Epidemiologia (AIE).
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Professor Vineis, dall’ultimo report dell’Imperial College di Londra emerge che in Italia sarebbero 5,9 milioni le persone infettate dal Coronavirus, ovvero il 9,8% dell’intera popolazione, e che le misure di contenimento avrebbero evitato una catastrofe sanitaria. Cosa ne pensa?
«Penso che sia molto difficile fornire stime sul numero di persone infette. Il numero cui lei si riferisce è stato ottenuto attraverso un metodo di “back-calculation”, cioè calcolo a ritroso a partire dalla mortalità osservata e applicando assunzioni come il tasso di letalità negli infetti. La stima mi pare plausibile, ma sono in corso ulteriori affinamenti da parte del team di Ferguson all’Imperial College. Invece mi sembra credibile il fatto che le misure di contenimento messe in atto dal governo abbiano evitato circa 38mila morti. Bisogna tener presente che queste stime sono sempre accompagnate da un intervallo di credibilità che esprime tra l’altro le incertezze sulle assunzioni usate (per le morti evitate: l’intervallo sta fra 13mila e 84mila)».
Qual è la proposta dell’AIE al comitato tecnico-scientifico per stimare l’effettiva circolazione dell’infezione da nuovo Coronavirus in Italia?
«Noi riteniamo che sia utile effettuare un’indagine campionaria di popolazione per stimare la proporzione di infetti con un test anticorpale. Mentre il tampone indaga sugli acidi nucleici virali (RNA) ed è un indicatore dell’infezione in corso (per cui rimane positivo solo per 2-3 settimane nelle persone infette), gli anticorpi indicano che c’è stata una risposta immunitaria e dunque il soggetto può essersi immunizzato. Ma non sappiamo molto, in particolare quanto dura l’immunizzazione e quanto sia efficace».
In che modo è praticabile questa proposta?
«È prima di tutto necessario disporre di un test anticorpale efficace e accurato. Ci stanno lavorando vari laboratori in Italia, principalmente afferenti agli IRCCS e al gruppo di 300 ricercatori che hanno firmato un appello al governo mettendosi a disposizione».
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Ma qual è l’attendibilità di questi test anticorpali per stabilire chi è immunizzato?
«Non lo sappiamo, per questo è importante disporre di un test accurato che funga da “gold standard” verso cui paragonare i test commerciali. Il rischio è che i test diano origine a molti risultati falsamente positivi, che darebbero ai soggetti la falsa sensazione di essere protetti mentre non lo sono».
Chi è guarito è immune dal contagio?
«Si tratta di un virus nuovo e la storia naturale dell’infezione è ignota. Sono tutte domande cui è necessario rispondere tramite gli studi siero-epidemiologici. Finora le evidenze migliori vengono da uno studio di Woelfel pubblicato su Nature e basato su soli 9 pazienti. Per questi aspetti, rimando all’ottima pubblicazione dell’Accademia dei Lincei su COVID-19. C’è un’evidenza ancora aneddotica – sarebbe meglio parlare di opinione personale dei ricercatori – secondo cui sia la risposta immunitaria che la resistenza all’infezione dovrebbero durare almeno 6-12 mesi. Ovviamente non abbiamo ancora osservazioni così lunghe».
Secondo lei, qual è la strada migliore da intraprendere per riaprire gradualmente scuole, uffici e tutto il resto e, quando questo potrà avvenire?
«Credo che anche su questo nessuno abbia ancora una risposta. Le stime matematiche fatte da alcuni, tra cui l’Imperial College, consistono nel valutare l’impatto sull’evoluzione dell’epidemia della rinuncia o attenuazione di diverse misure di contenimento (come la riapertura delle scuole, l’attenuazione del lockdown). Ma è prematuro trarne conseguenze pratiche ai fini delle decisioni. Apprezzo la prudenza di alcuni politici, che non è però di tutti».
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