Il professore di Microbiologia dell’Università di Padova in audizione in Commissione Sanità al Senato ha spiegato: «Se a Vo’ Euganeo non avessimo testato tutti si sarebbe contagiato l’80% della popolazione». Poi sottolinea: «Gli indicatori più validi sono la densità di popolazione e la percentuale di positivi»
«La percentuale di letti occupati in rianimazione introduce un effetto distorsivo sul sistema. In questo modo chi ha più letti, permette al virus di correre di più». L’analisi del microbiologo Andrea Crisanti è arrivata durante la sua audizione di fronte alla Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama e cade proprio nel giorno in cui il Presidente del Consiglio ha firmato il nuovo Dpcm che prevede la divisione dell’Italia in tre con diversi livelli di chiusure.
L’audizione è stata anche l’occasione per spiegare ai senatori come ha funzionato il modello veneto nato a Vo’ Euganeo dove la scorsa primavera si sono attuate misure molto efficaci per il contenimento dei contagi.
«A Vo’ c’erano 88 persone positive il 2 marzo. Le altre province avevano pochissimi casi – ricorda Crisanti -. Nei tre mesi successivi e fino al 30 maggio non ci sono stati nuovi casi».
«Senza queste misure a Vo’ abbiamo calcolato che dopo un mese, il 30 marzo, i contagi avrebbero riguardato l’80% della popolazione. Con lo screening di massa siamo riusciti ad abbattere i casi».
Il ‘modello veneto’ ha funzionato grazie a un sistema particolarmente efficiente di contact tracing, definito dal professore di Microbiologia «senza precedenti», attuato con risorse ingenti messe a disposizione della regione. Ma non è solo il contact tracing il segreto di questo metodo.
«Abbiamo anche aumentato la capacità di fare test (da 1500 test al giorno a 15mila), dove possibile abbiamo applicato questo approccio e abbiamo esteso l’accesso al test a tutte le persone che ritenessero di avere sintomi da Covid o anche agli ipocondriaci» sottolinea Crisanti.
Il successo di questo modello aveva spinto Crisanti a presentare al governo un piano per creare questo “network testing” in grado bloccare la trasmissione, piano che però alla fine è rimasto in un cassetto.
Crisanti ha poi criticato il criterio dei posti letto in terapia intensiva per stabilire o meno il lockdown in una regione: «Così chi ha più letti permette al virus di correre di più. Gli indicatori più validi sono la densità di popolazione e la percentuale di positivi». Parole che inevitabilmente sono destinate a riaccendere le polemiche sulle chiusure che contrappone regioni, enti locali e governo.
Il professore ha poi spiegato perché l’app Immuni sostanzialmente non sia servita a bloccare l’epidemia («Blocca le catene di trasmissione se riesce ad identificare i contatti. L’efficienza dell’app dipende dal numero di persone che la scaricano») e infine ha concluso: «Il problema è anticipare il virus, dobbiamo intercettarlo e avere informazioni. Per evitare la terza ondata bisogna creare un sistema di sorveglianza composto da tre elementi: la capacità di fare un numero di tamponi sufficiente, l’integrazione di strumenti informatici come l’app Immuni, i dati relativi alla distribuzione dei casi regione per regione e i parametri demografici, in modo da prevedere cosa accade dopo e anticipare il virus, e una logistica per rendere accessibili i test laddove sono necessari. Non dobbiamo lasciare indietro nessuno. Se ce l’ha fatta il Vietnam penso che sicuramente ce la possa fare l’Italia».
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