Nel Comune veneto il 5% degli abitanti ha sviluppato anticorpi da Sars-Cov-2, per l’esperto il rischio c’è ancora. Dall’Iss arriva il “no” alla disinfezione delle strade con ipoclorito di sodio: «Possono formarsi sostanze pericolose»
A Vo’ Euganeo il virus esisteva già dalla prima-seconda settimana di gennaio. Andrea Crisanti, direttore di Microbiologia e Virologia presso l’A.O. dell’Università di Padova, ha illustrato i risultati di tre nuovi studi fatti sulla popolazione del Comune veneto ad Agorà, su Rai3.
Gli abitanti sono stati prima sottoposti tutti al tampone, poi hanno effettuato il test sierologico e ora è in corso il completamento dell’analisi genetica, senza registrare nuovi casi positivi. «Il test sierologico ha rivelato sorprese interessanti – ha fatto presente Crisanti –, abbiamo visto che c’è un numero importante di persone che al primo campionamento, del 24-25 febbraio, erano negative al tampone e stavano bene, ma hanno sviluppato gli anticorpi. È emerso che circa il 5% della popolazione di Vo’ Euganeo ha anticorpi contro il virus. Questo ci permette di datare l’entrata del virus a Vo’ Euganeo nella prima-seconda settimana di gennaio».
I primi due casi trovati, due anziani, erano stati segnalati intorno al 20 febbraio pensando a un focolaio creato da un bar della zona. «Questo virus – ha spiegato Crisanti – per ragioni che ancora non conosciamo, si diffonde senza creare malattia finché raggiunge una massa critica di persone che si infettano e a quel punto esplode con tutta la sua violenza, quindi questi casi che ci sono in Italia non vanno sottovalutati».
Per il professore, facendo un rapporto di comparazione tra i risultati di Vo’ e i numeri lombardi, c’è una forte possibilità che in alcune zone della regione più colpita si arrivi anche al 30% di persone con anticorpi. «Se il professor Zangrillo fosse andato a Vo’ nella prima settimana di gennaio e avesse visto le persone che magari erano positive al virus avrebbe detto che il virus clinicamente non esisteva», Crisanti ha commentato così l’affermazione del collega che aveva fatto discutere la settimana scorsa.
Il rischio c’è ancora, ha ribadito: «In questo momento c’è poca trasmissione ma questo non vuol dire che non ci sia pericolo. Il problema non è se in questo momento c’è poca trasmissione o meno; il problema è se siamo attrezzati, nel caso si manifesti di nuovo, a spegnere rapidamente questi focolai. Non esiste rischio zero in questo momento».
Secondo Crisanti, quindi, l’Austria ha fatto bene a non riaprire i confini con il nostro Paese: «Ci sono ancora un sacco di casi in Italia – ha detto -, e anzi io penso che anche noi dovremmo implementare misure di controllo nei confronti di quei Paesi dove l’epidemia è ancora attiva, come quelli americani. Stabilirei dei criteri – ha aggiunto -: entri in Italia, ti controlliamo la temperatura, ti facciamo il tampone e verifichiamo che tu sia rintracciabile. Se sei positivo ti mettiamo in isolamento, non è che si può riaprire tutto così».
La prevenzione resta la strada migliore per contrastare una nuova ondata, per cui è necessario lavare spesso le mani e disinfettare le superfici. Anche se è di questa mattina l’invito di Rosa Draisci del Centro nazionale sostanze chimiche dell’Istituto Superiore di Sanità, a non sanificare le strade o altre grandi superfici con ipoclorito di sodio. A contatto con altri materiali organici depositati sul terreno, ha specificato, si possono formare sostanze pericolose.
Anche il tracciamento via app potrebbe essere uno strumento, ma Crisanti si dice poco convito dal possibile impatto dell’app “Immuni”, per ora in prova in alcune regioni italiane. «Così come è concepita e con i livelli di identificazione dei casi penso che abbia un impatto molto basso – ha chiarito –. Per avere un impatto dovrebbe essere scaricata dal 90% degli italiani».
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