Il Presidente dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – Emergenza Area Critica fa un quadro della situazione attuale, che comunque «fa riferimento a circa 3 settimane fa». E in prospettiva: «Non ce la sentiamo di essere allarmisti ma dobbiamo cercare di capire come fare per superare l’inverno»
Al momento il numero di posti occupati nelle terapie intensive italiane è «sufficientemente stabile», anche se «ogni tanto si vede una tendenza ad un rialzo tutto sommato contenuto. Detto questo, però, i numeri sono senza dubbio ancora alti». Ma per evitare di raggiungere soglie critiche, considerato anche il periodo non facile in cui stiamo andando incontro per la contemporanea presenza dell’influenza stagionale, potrebbero servire ulteriori misure restrittive? «Anche se volessimo chiederle, in questo momento di profonda instabilità di Governo non sapremmo a chi rivolgerci».
Alessandro Vergallo, Presidente di Aaroi-Emac (Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – Emergenza Area Critica), spiega che, nonostante la pressione sulle terapie intensive non sia, al momento, a livelli critici (ma la situazione attuale mostra ciò che è successo circa tre settimane fa), l’obiettivo è quello di «cercare di capire come poter superare il periodo invernale che, come avevamo già previsto, fa registrare un aumento corposo di casi Covid».
Il problema, però, è che l’attuale crisi di Governo non rende ovviamente il lavoro più facile, anzi: «Qualunque provvedimento di restrizione – spiega a Sanità Informazione – ha delle contropartite non solo sanitarie ma anche economiche. Per questo ora non sappiamo bene con chi confrontarci».
Ragionando però in prospettiva, secondo Vergallo è «chiaro che da qui in avanti, fino ad almeno la prima decade di febbraio, si presuppone che le misure già adottate o che verranno adottate continueranno a produrre i loro effetti. Per questo – spiega –, non ci sentiamo di essere allarmisti».
C’è però da dire che «le misure ad elastico adottate in queste settimane hanno impedito un abbattimento dei flussi di pazienti così come si era verificato nella prima ondata». In questo periodo, invece, abbiamo assistito semplicemente «ad un rallentamento» dei contagi, a cui è seguita «una ripresa dei casi, senza dubbio causati dalle festività natalizie».
Si sarebbe dunque dovuto fare di più? «Secondo noi – spiega il Presidente di Aaroi-Emac – le festività sono state affrontate in maniera molto più blanda di quel che era necessario fare. Si è ceduto alla pur comprensibile, anche se non giustificabile, volontà popolare di dar sfogo a quella libertà a cui abbiamo dovuto rinunciare durante il primo lockdown». E forse è stato proprio «il calo così rapido di contagi che abbiamo registrato nella prima ondata», successivo alla prima serrata generale, che ha dato alle persone «una falsa sensazione di ottimismo su ciò che sarebbe accaduto».
E gli effetti si vedono, con una seconda ondata che ancora non è finita e che sconfina, per qualcuno, addirittura in una terza ondata. Ma che si tratti di una terza fase della pandemia o solo nella prosecuzione della seconda, poco cambia: «Forse sarebbe stato più opportuno riflettere meglio» sulle restrizioni relative al periodo invernale.
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