In base ad osservazioni cliniche preliminari l’assunzione di una compressa che contiene l’associazione precostituita di due principi attivi sofosbuvir/velpatasvir bloccherebbe la replicazione del Sars-CV-2. Vediamo come con Antonio Izzi, infettivologo del Cotugno di Napoli, e Vincenzo Messina, infettivologo del S. Anna e San Sebastiano di Caserta
I pazienti affetti da infezione da Sars-CoV2 hanno avuto un decorso clinico decisamente favorevole e breve a seguito dell’assunzione di un farmaco antiepatite C. Sono i risultati dell’osservazione casuale realizzata durante l’epidemia nella rete epatologica ospedaliera italiana, ma non può essere un “caso”. Ne sono convinti il dottor Antonio Izzi, dirigente medico della Prima UOC di Malattie Infettive e Terza Divisione Covid dell’ospedale Cotugno di Napoli, e il dottor Vincenzo Messina, infettivologo della UOC malattie infettive al S. Anna e San Sebastiano di Caserta che, intervistati da Sanità Informazione, rivendicano gli effetti del trattamento e chiedono di poter partire con una sperimentazione autorizzata ad ampio raggio.
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«Nella comune pratica clinica, nell’ambito della rete epatologica ospedaliera italiana, abbiamo osservato nei pazienti con infezione da HCV in terapia con l’associazione sofosbuvir/velpatasvir e che avevano contratto la infezione da SARS- CoV 2, un decorso breve, oligosintomatico e con negativizzazione del tampone in pochi giorni», spiega Messina.
«La terapia – aggiunge Izzi – si basa sull’associazione di due principi attivi che si trovano in un’unica pillola per l’epatite C: il velpatasvir e il sofosbuvir. Entrambi i farmaci hanno una potente azione sul ciclo biologico del virus dell’epatite C e, per quanto riguarda il SARS-CoV-2, si è visto in modelli tridimensionali sperimentali che velpatasvir è in grado di bloccare in maniera stechiometrica due siti attivi all’interno di due polipeptidi contenuti nell’ambito della proteasi virale, mentre sofosbuvir agirebbe successivamente bloccando la catena nascente dell’RNA complementare a quello template a livello del sito attivo della polimerasi virale, sfruttando la caratteristica che la conformazione spaziale della polimerasi di SARS-CoV-2 è molto simile a quella del virus dell’epatite C. Se i dati venissero confermati, rappresenterebbe l’unico farmaco antivirale in circolazione che riuscirebbe a bloccare il virus agendo prima sulla proteasi e poi sulla polimerasi: in un solo colpo, due bersagli». La sperimentazione off label al Cotugno è stata quindi da poco autorizzata per l’impiego clinico sul primo paziente.
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«L’evidenza casuale rilevata in pazienti che in periodo pandemico avevano contratto il Covid-19 è stata formidabile e ci ha sconvolto per la rapidità d’azione – prosegue il dottor Messina -. I pazienti affetti da SARS-CoV-2 che hanno fatto la terapia antiepatite C hanno evidenziato una soppressione della replicazione di Covid-19 entro i primi 5 giorni con la negativizzazione del tampone – metro di giudizio della contagiosità – in pochissimi giorni. Trasferire questa esperienza di cura nei pazienti all’inizio dell’infezione significa non far scatenare la tempesta citochinica ed evitare che diventino malati e abbiano bisogno di altre terapie: potrebbe essere risolutiva».
«La terapia somministrata in alcuni soggetti con contemporanea infezione da HCV ha consentito che la malattia da SARS-CoV-2 in fase iniziale non evolvesse in modo più severo – puntualizza Izzi -. Ma non è tutto: i primi dati preliminari in alcuni centri situati in varie parti d’Italia, sono molto promettenti anche in pazienti non HCV infetti che avevano difficoltà ad eliminare il SARS-CoV-2 dopo uno-tre mesi dall’inizio dell’infezione. L’utilizzo dell’antivirale ha portato alla negativizzazione del tampone, nel giro anche di soli tre giorni. Di questo, abbiamo già qualche caso clinico raccolto nell’ambito di realtà infettivologiche diverse».
Inoltre, si tratta di un farmaco sicuro, «somministrato ad oltre 1 milione di persone in tutto il mondo per l’epatite C ed è l’unico che può essere utilizzato attualmente nella cirrosi scompensata perché ben tollerato dai pazienti più fragili» specifica l’infettivologo.
Tuttavia, gli ostacoli incontrati dai due medici per procedere con le sperimentazioni non sono pochi: «Siamo stati i primi in assoluto ad aver promosso questa terapia e successivamente in altre parti del mondo sono partite sperimentazioni utilizzando questa combinazione – ricorda Messina -. Per ben due volte abbiamo quindi inoltrato alla casa produttrice un protocollo per uno studio pilota con una robusta letteratura a supporto ma, oltre a commenti telefonici, non abbiamo mai avuto una risposta scritta e motivata del verbalmente riferito diniego. Lo stesso è accaduto per analoga richiesta formulata per un uso “off label” individuale, che come clinici non possiamo attivare senza le dovute autorizzazioni perché prevedono una fornitura gratuita del farmaco da parte del produttore o un acquisto dello stesso con oneri a carico della A.O. o ASL che ne decidesse l’impiego».
«Le normative che regolano l’impiego dei farmaci anti HCV e le modalità di rimborso del loro costo non ne consentono un facile accesso – prosegue Messina -. Questi farmaci accessibili a prezzo moderato nell’ambito della cura della epatite da HCV, risultano invece inaccessibili se comprati in canale diretto. Altro percorso possibile sarebbe la sperimentazione, ma anche questa risulta irrealizzabile senza una fornitura gratuita o tracciabile del farmaco. Ci resta l’amarezza di aver compreso, individuato, osservato l’efficacia anti Covid-19 di un farmaco antivirale dotato di straordinaria sicurezza, a somministrazione orale e gestibile al domicilio e non poterlo verificare su più ampia scala» conclude.
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