Secondo l’epidemiologo americano l’uso combinato del farmaco con antibiotici o con corticosteroidi può rappresentare una svolta. Poi spiega: «Finora ci si è basati su dati estrapolati da studi in cui questi farmaci sono stati usati su pazienti in uno stadio molto avanzato della malattia». La sua pubblicazione aveva provocato un ampio dibattito sull’American Journal of Epidemiology
Il suo studio aveva fatto molto discutere e provocato un caso all’interno della Yale School of Public Health e della comunità scientifica americana. A distanza di quattro mesi dalla pubblicazione in cui riabilitava l’idrossiclorochina, l’epidemiologo Harvey Risch non demorde e replica punto su punto alle critiche arrivatagli da diversi esponenti della comunità scientifica. Anche il decano della Scuola, il professore Sten H. Vermund, non aveva voluto prendere posizione contro Risch, ma escludendo qualsiasi ipotesi di censura aveva ribadito la necessità di sviluppare un ampio dibattito scientifico sullo studio.
Alla base della ricerca del professore statunitense, intitolata “Early Outpatient Treatment of Symptomatic, High-Risk Coronavirus Disease 2019 Patients That Should Be Ramped Up Immediately as Key to the Pandemic Crisis” c’è la dimostrazione che i benefici dell’uso della coppia idrossiclorochina e azitromicina sopravanzano ampiamente i rischi di effetti collaterali cardiaci. Secondo Risch c’è grande differenza tra i pazienti ospedalizzati, con sintomi da Covid ormai conclamati, e pazienti non ospedalizzati al primo stadio della malattia. È su questi che l’idrossiclorochina può rappresentare un’importante arma per stroncare il virus.
L’articolo, pubblicato sull’American Journal Of Epidemiology, aveva provocato la risposta di un gruppo di studiosi capitanati da Matthew P. Fox dal titolo “Concerns About the Special Article on Hydroxychloroquine and Azithromycin in High Risk Outpatients with COVID-19 by Dr. Harvey Risch” in cui venivano criticate le teorie di Risch e secondo cui “le attuali evidenze scientifiche non supportano l’uso dell’idrossiclorochina”.
«L’American Journal of Epidemiology ha censurato la mia controrisposta», spiega amareggiato a Sanità Informazione lo stesso Risch che, a distanza di mesi, continua ad essere fermamente convinto dei suoi studi. A dare nuova linfa vitale alle teorie di Risch i fatti delle ultime settimane. Prima la Cina ha inserito l’idrossiclorochina nelle linee guida anti Covid. Poi persino il Lancet, finito nella bufera per lo studio ritirato sull’idrossiclorochina, ha ora pubblicato uno studio in cui si dimostra che la molecola riduce la mortalità nei pazienti con Covid.
«Il numero giornaliero di casi negli Stati Uniti si è stabilizzato nel corso dell’ultimo mese e al contempo il numero dei decessi giornalieri sta leggermente calando. Non c’è modo di sapere cosa accadrà a novembre. Diversi modelli hanno fatto delle previsioni basate su ipotesi per le quali al momento non ci sono evidenze a supporto. Possiamo solo aspettare e vedere. L’Italia sta registrando un aumento dei casi, ma i decessi per ora sono ancora molto bassi. Non possiamo sapere se la stagione fredda o cambiamenti nei comportamenti delle persone possono cambiare la situazione».
«Mass media e media scientifici hanno continuamente ripetuto che questi farmaci non funzionano e sono dannosi. Per fare queste asserzioni si sono basati spesso su studi contenenti errori o hanno estrapolato dati provenienti da studi in cui questi farmaci sono stati usati su pazienti in uno stadio molto avanzato della malattia. Le persone che hanno bisogno di questo trattamento sono pazienti ad alto rischio che hanno bisogno di iniziare il trattamento entro cinque giorni dai primi sintomi. Tutti gli studi che analizzano l’ospedalizzazione e la mortalità dei pazienti ad alto rischio mostrano significativi benefici dall’uso dell’idrossiclorochina».
«Sì, assolutamente. Però l’idrossicolorochina necessita di un’aggiunta di zinco per lavorare efficacemente e molti pazienti hanno mostrato benefici prendendo anche vitamina D. Altri invece hanno avuto beneficio dall’aggiunta di antibiotici come la doxiciclina e l’azitromicina o da corticosteoridi come budesonide e prednisone. Sono scelte cliniche che competono al medico e raggiungono la massima efficacia se somministrati entro pochi giorni dai primi sintomi».
In un paper sull’American Journal of Epidemiology venivano attribuiti diversi errori al suo lavoro sull’idrossiclorochina. Come replica?
«Tralascio il dibattito sul “fondamentalismo” degli studi randomizzati. In quel documento ci sono errori di fatto, errori di interpretazione e cruciali omissioni riguardo al mio studio. Negli studi che questi autori hanno preso in considerazione la maggior parte dei pazienti aveva sintomi da coronavirus definiti “da blandi a moderati”. In realtà questi pazienti erano mediamente al 17esimo giorno di sintomi da coronavirus, mentre i trattamenti andrebbero cominciati entro i primi cinque giorni. Inoltre non hanno preso in considerazione altri studi da me citati dove l’idrossiclorochina ha ridotto la mortalità anche fino al 60%».
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