Lo studio realizzato dall’Università Statale di Milano ha rivelato che i cani, abilmente addestrati, possono identificare il virus Sars-cov-2 anche in soggetti asintomatici. Possibile l’impiego in eventi pubblici
Chi nei mesi scorsi a Milano ha incontrato un cane in farmacia, potrebbe essersi imbattuto in uno dei cinque esemplari addestrati per rilevare la presenza del Covid nelle persone. Sono i cani domestici impiegati dal dipartimento di medicina veterinaria dell’Università Statale di Milano per identificare il virus in soggetti asintomatici.
Questo studio, coordinato da Mariangela Albertini, Docente di Fisiologia Veterinaria è stato realizzato grazie a due scienziate: Federica Pirrone e Patrizia Piotti, e alla collaborazione dei tecnici cinofili di Medical Detection Dogs Italy. Suddiviso in due tappe, ha visto i cani misurarsi dapprima in laboratorio con dei campioni biologici e poi all’aria aperta con le persone. «Abbiamo iniziato a lavorare nel 2021 con 3 cani: Nala, Otto e Xelix in laboratorio – racconta Federica Pirrone a Sanità Informazione -. Erano già abituati a ricerche olfattive, quindi non è stato difficile addestrarli anche per il campo biomedico».
È stato scelto il sudore come campione biologico perché trattiene l’odore a lungo senza contenere il virus. «È semplice da raccogliere e facile da gestire e non è rischioso per gli operatori e per i cani – ammette la scienziata -. In laboratorio abbiamo utilizzato una metodica che si chiama test ri-test. I cani, a distanza di due settimane dal primo test, hanno dimostrato di riconoscere ancora quella traccia odorosa specifica del Covid-19». Il risultato è stato sorprendente al punto che non ci sono stati errori. «I cani hanno raggiunto un livello di capacità olfattiva e di sensibilità sorprendente – fa notare Pirrone -. Hanno denotato una grande abilità nel riconoscere i soggetti positivi e di ignorare quelli negativi. Addirittura sono paragonabili ai test molecolari».
Superato a pieni voti il primo esame in laboratorio, i cani – nel frattempo diventati cinque -, sono stati portati in un luogo pubblico per misurarsi con pazienti ipoteticamente affetti da Covid. «La scelta è ricaduta sulla farmacia – prosegue la docente del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università Statale di Milano – .Lì era possibile incrociare persone in attesa di sottoporsi ad un test rapido». Posti all’esterno dell’ambulatorio, i cani hanno annusato il paziente e poi dato la risposta spontanea utilizzata abitualmente per riconoscere un odore. «C’è chi ha abbaiato, chi si è seduto, chi è rimasto in piedi. Tutti hanno compiuto un gesto abituale nel momento in cui hanno riconosciuto il virus del Covid -19 nel cittadino che avevano difronte – riprende Pirrone -. Quando l’odore non tradiva la presenza del virus, si sono invece allontanati». Anche in questo caso il risultato è stato sorprendente, nessun errore commesso da parte dei cani ed esiti completamente in linea con il test rapido effettuato subito dopo dai pazienti presenti.
Alla luce dei risultati raggiunti con la seconda fase del test, gli scienziati del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università Statale di Milano sono giunti alla conclusione che i cani hanno la medesima capacità di individuare il virus Sars-Cov-2 dei test rapidi anche all’aperto, semplicemente odorando i cittadini. «Un traguardo che permette di ipotizzare l’impiego di cani nei grandi eventi pubblici al fine di monitorare e rilevare la presenza di qualche soggetto positivo al Covid», ribadisce l’esperta.
Tutti i cani sono dotati di una grande abilità olfattiva, eppure per il test del Covid non tutte le razze sono idonee. «Evitiamo di utilizzare cani brachicefali, ovvero quelle razze che hanno il muso corto, come bulldog, cavalier king, boxer francese, carlino perché per natura hanno difficoltà respiratorie quindi evitiamo di stressarli ulteriormente – dice la scienziata – non ci sono differenze invece tra maschi e femmine, anche se per caratteristiche comportamentali le femmine sono più predisposte ad annusare all’esterno. Si distraggono meno e sono più empatiche». La fascia di età indicata per questa attività è tra l’uno e i sette anni. «Prima sono cuccioli, quindi immaturi. Più avanti con gli anni vengono valutati dai veterinari».
Chiuso il capitolo Covid, gli scienziati del centro cinofilo del dipartimento di medicina veterinaria proseguono nella ricerca olfattiva delle patologie dell’uomo. «I cani hanno un grande futuro nella ricerca biomedica – conclude Federica Pirrone –. Già in passato avevamo capito che i cani erano in grado di riconoscere i pazienti con tumore al polmone, poi sono risultati abili e arruolati a riconoscere il virus da Covid negli asintomatici, ora lavoriamo sempre nell’ambito medico all’individuazione di una nuova patologia, di cui è prematuro però parlare».
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