Il Presidente D’Andrea: «Il virus sta diventando un’infezione ospedaliera. Una volta a settimana dovremmo tutti sottoporci al tampone per poter isolare i medici positivi»
In questi giorni di emergenza Coronavirus accade anche che chi soffre di gravi patologie rinunci alle cure per timore di essere contagiato. Come i pazienti affetti da tumori maligni della cute, molti dei quali preferiscono sottrarsi a terapie e controlli per non correre il rischio di contrarre il virus. A sottolineare questo dato allarmante è Francesco D’Andrea, presidente della Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, nonché direttore del reparto di Chirurgia plastica presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli.
«Nonostante in tutti presidi ospedalieri nazionali la Chirurgia Plastica stia garantendo nel rispetto delle norme di prevenzione del contagio tutte le attività urgenti e indifferibili – dichiara D’Andrea – viene segnalata dai nostri soci una riduzione di pazienti per quel che riguarda le patologie oncologiche di nostra competenza (tumori cutanei, mammari e melanomi). Molte di queste persone temono il pericolo Coronavirus e, di conseguenza, preferiscono non continuare le cure di cui hanno bisogno. Va sottolineato però – dice D’Andrea – che nonostante le strutture ospedaliere coinvolte dall’emergenza abbiano pazienti Covid ricoverati, esistono percorsi dedicati per garantire la sicurezza dei pazienti affetti da altre patologie e tutti questi pazienti prima del ricovero vengono sottoposti ad un approfondito triage per evidenziare preventivamente il sospetto di infezione virale in corso e nel caso procedere al loro isolamento. Sono orgoglioso inoltre – continua D’Andrea – di segnalare che molti nostri soci, indifferentemente liberi professionisti, giovani specializzandi, ospedalieri e universitari, nelle zone maggiormente in difficoltà si siano resi disponibili a lasciare il ruolo di chirurgo plastico per ricoprire quello dell’operatore volontario al servizio dei malati Covid».
Anche tra il personale sanitario è alta la tensione: «Viviamo con l’angoscia di ogni essere umano in questo momento, ma con la consapevolezza che questo lavoro lo abbiamo scelto. Siamo consapevoli che noi medici per primi siamo a rischio e rappresentiamo una possibile fonte di contagio, specie se asintomatici. Una procedura utile che andrebbe adottata sul territorio nazionale per prevenire la diffusione dell’infezione sarebbe l’esecuzione del tampone a tutti gli operatori sanitari, questo perché se il medico non è testato ed è asintomatico diventa il primo propagatore del Coronavirus». Per il presidente Sicpre «il virus sta diventando un’infezione ospedaliera. Una volta a settimana dovremmo tutti sottoporci al tampone, per poter isolare i medici positivi, creando una specie di barriera che garantisca il non contagio». E sulle esperienze vissute di altre epidemie, D’Andrea dice: «Anche se giovane, ricordo il colera a Napoli nel 1973, ma lì c’era la terapia. Oggi non sappiamo ancora come affrontare questo nemico. Ecco perché dico a tutti: rispettare le regole, stare in casa e chi deve uscire per lavoro o necessità lo faccia con la massima accortezza».
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