L’infettivologo: «Tante persone rinunciano alla vaccinazione in maniera insensata. Centinaia di decessi giornalieri dovrebbero spaventare molto di più di fenomeni gravissimi ma eccezionali»
Imparare dagli errori per far sì che non si ripetano. Con questo obiettivo il docufilm Covid-19, Il Virus della Paura realizzato da Consulcesi e patrocinato dal Ministero della Salute debutta sulla piattaforma Infinity.
Il film ha un duplice intento: formare i professionisti e offrire ai cittadini una rielaborazione accurata della pandemia smontando fake news e teorie antiscientifiche e del complotto che circolano ancora oggi. Per creare un percorso formativo specifico ed esaustivo sul Covid-19, alla pellicola si sono aggiunti anche un e-book e una collana di corsi Ecm offerti dal provider di Consulcesi Club Sanità in-Formazione.
Nel gruppo di esperti che ha partecipato al progetto Massimo Andreoni, direttore del reparto Malattie Infettive a Tor Vergata, Roma, che ha espresso al nostro giornale alcune considerazioni. L’infettivologo ha posto l’accento sull’impreparazione generale del Paese di fronte all’emergenza sanitaria, riferendosi non solo alle carenze organizzative e strutturali ma anche alla mancanza di una comunicazione pubblica univoca e chiara, individuando gli errori fatti e che continuano a ripetersi.
«Il primo errore è stato farci trovare del tutto impreparati ad una pandemia, ci ha colto in assoluto di sorpresa – ha spiegato Andreoni -. Non c’era una preparazione a livello di sanità pubblica, né diagnostica né assistenziale, non avevamo strutture pronte a confrontarsi con un evento epidemico-pandemico». Altri limiti e mancanze sono arrivati dal territorio «non in grado di sopperire alle difficoltà degli ospedali – ha ricordato l’infettivologo -. Oltre alle terapie intensive, è mancata la risposta a tanti malati ambulatoriali, c’è stata improvvisazione».
Il professore ha ravvisato in Italia «una mancanza culturale» che ha ostacolato l’immediata comprensione delle misure di contenimento, dei comportamenti suggeriti, come indossare mascherine di protezione e procedere al lavaggio delle mani e al distanziamento «a differenza di altre parti del mondo».
Secondo Andreoni, nel nostro Paese è mancata anche una strategia di comunicazione univoca ed efficace da parte dei media e dei comunicatori scientifici: «Altrove sono stati pochi e ben selezionati. Noi siamo stati tutti coinvolti in maniera improvvisata e anche le istituzioni, Ministero della Salute e Istituo Superiore di Sanità, sono stati travolti dall’evento».
Tutto questo ha generato paure e incertezze e il proliferare di bufale, approssimazione e falsi miti. Ma la comunicazione, dopo un anno, è migliorata? «Si continuano a fare errori. Manca ancora una strategia istituzionale a livello comunicativo – ha sottolineato Andreoni -. Le manchevolezze che ho descritto hanno facilitato la vita alle fake news che trovano terreno fertile. Di fronte ad una comunicazione incerta o non ben chiarita, chi vuole seminare dubbi ha grande facilità a farlo».
Riguardo al vaccino AstraZeneca, ad esempio, prima riservato agli under 65 e ora consigliato agli over 60, Andreoni ha specificato: «È un chiaro esempio di quanto sarebbe stato opportuno spiegare le motivazioni per cui si stava procedendo in quella direzione, con le nuove conoscenze e studi sul vaccino. Non è semplice adesso recuperare la fiducia delle persone. Il messaggio che doveva emergere è uno solo: AstraZeneca ha funzionato correttamente in termini di riduzione di ricoveri e mortalità».
L’infettivologo pensa che il fatto «di dover spiegare “la scienza” ai cittadini, che non hanno le conoscenze utili a comprendere tecnicismi scientifici e complicati, ha creato e sta creando non pochi problemi. Oggi tante persone – ha aggiunto – rinunciano alla vaccinazione in maniera insensata, visto che nei nostri ospedali continuiamo a ricoverare e ad assistere a centinaia di decessi giornalieri. Questo dovrebbe spaventare molto di più che casi rari di fenomeni, gravissimi, ma che rimangono nell’eccezionalità».
C’è una reale confusione, a parer suo, perché manca una credibilità istituzionale. Il messaggio da inviare è semplice e deve essere recepito in modo netto: «La malattia molto più pericolosa della vaccinazione. Per questo dovete vaccinarvi».
Anche l’ipotesi di ritardare la seconda dose dei vaccini a mRNA non trova favorevole Andreoni: «La sperimentazione è stata fatta con 21 e 28 giorni. Dire che si può aspettare di più senza averlo dimostrato è una presunzione che può portare due rischi. Innanzitutto, che tra la prima e la seconda dose ci sia una fase di non sufficiente copertura – ha concluso – e che la seconda dose non riesca a stimolare l’immunità in modo sufficiente. Queste sono ipotesi, ma andrebbero dimostrate. Cambiare le cose per “comodità” non è, nuovamente, un messaggio di grande chiarezza. Queste variazioni, che possono avere anche delle giuste motivazioni, creano insicurezza e confusione nei cittadini».
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