Giovanni de Girolamo (Fatebenefratelli) interviene al Festival della Scienza Medica: «Le informazioni siano sobrie, limitate e non contraddittorie». E dà tre consigli ai medici per migliorare la salute psicofisica
«È evidente ed è stato abbondantemente dimostrato che un nuovo lockdown generale sarebbe disastroso dal punto di vista economico, e quindi sociale. Questo potrebbe certamente produrre effetti psicologici molto duri: è difficile che una persona possa essere felice in una situazione disastrosa dal punto di vista economico e sociale. Ma se ci riferiamo agli effetti del lockdown in quanto tale e alle conseguenze psicologiche ed emotive che esso comporta, non bisogna giungere a conclusioni semplicistiche: c’è anche chi durante il lockdown ha riorientato positivamente la propria vita». Giovanni de Girolamo, responsabile della U.O. di Psichiatria Epidemiologica e Valutativa dell’IRCCS Fatebenefratelli e docente di Psichiatria alla Cattolica di Milano, sarà protagonista di un atteso panel al Festival della Scienza Medica di Bologna; sabato 10 ottobre terrà un evento fortemente voluto dall’organizzazione del festival, trasmesso in streaming, che si chiamerà “Al di là del virus: società, comportamenti, pandemia e infodemia”. Sanità Informazione lo ha raggiunto per un’intervista telefonica.
«In generale la pandemia ha di certo determinato una svolta per l’accettabilità, da parte del sistema sanitario e da parte degli utenti, della telemedicina che, come è noto, esisteva anche prima, ma era meno diffusa ed accettata, anche da parte degli operatori sanitari. Sotto la pressione di eventi esterni abbiamo assistito ad una profonda modificazione delle abitudini e delle attitudini individuali, ed istituzionali, e questi strumenti oggi possono davvero aiutare anche per il monitoraggio di tanti pazienti, con disturbi di varia natura. Come al solito non bisogna generalizzare; ad esempio, una recente revisione Cochrane ha dimostrato in maniera per certi versi inattesa che le videochiamate usate per tenersi in contatto con anziani nelle case di riposo non sono particolarmente efficaci per lenire il senso di isolamento e la depressione che il fatto di trovarsi in un ospizio può generare. Valuterei con prudenza anche l’utilizzo di questi strumenti per situazioni a rischio quali storie di conflitto familiare, o di abuso di sostanze. L’utilizzo degli strumenti tecnologici ci aiuta ed è possibile estenderlo al massimo, senza fare però della telemedicina un feticcio».
«I servizi di salute mentale non sono addestrati e configurati per intervenire nei disastri su larga scala, sia prodotti dall’uomo che naturali. Si tratta di situazioni rilevanti per la sanità pubblica, in cui oltre alle valutazioni ed agli interventi di tipo strettamente sanitario, vanno attivati anche interventi diretti alla salute psichica delle popolazioni esposte. Da questo punto di vista, i molti studi condotti sino ad oggi dimostrano che, fortunatamente, la maggior parte delle persone esposte a situazioni traumatiche generalizzate sono resilienti e non hanno conseguenze psicologiche o psichiatriche a breve o a lunga durata; tuttavia, una quota minoritaria delle vittime ha invece conseguenze, e ciò è dovuto alla presenza di specifici fattori di rischio, ben indagati nell’abbondante letteratura relativa al disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Essere stati a rischio della vita, come ad esempio aver subito un ricovero durante una pandemia, o esser finito in rianimazione, sono eventi traumatici, il soffrire di preesistenti disturbi di ansia o depressivi è un altro fattore di rischio. Dinanzi a questi scenari, vengono spesso evocati interventi non necessari o addirittura controindicati».
«Un esempio largamente diffuso di questi errori è relativo al cosiddetto ‘debriefing’. Dopo un terremoto, o dopo una tragedia su ampia scala, spesso viene suggerito di mettere su gruppi di discussione affinché le persone parlino del trauma subito, ne discutano tra loro, esprimano i loro “sentimenti” circa l’evento, il modo in cui lo hanno vissuto, e simili. Se però uno va a controllare sui siti dell’OMS e della Croce Rossa che hanno ampia esperienza nella gestione dei disastri, e guarda la letteratura più accreditata, emerge che la strategia consigliata è esattamente opposta: il debriefing non solo non è indicato, ma è controindicato, e questa raccomandazione ha un preciso razionale neurobiologico. Il PTSD e i disturbi stress-correlati non sono null’altro che l’incapacità del soggetto di dimenticare, di andare avanti: la persona ha continui ricordi intrusivi, flashback dell’evento; quindi se io non faccio altro che rafforzargli la memoria dell’evento traumatico, chiedendogli di rappresentarlo, di parlarne, di tenerlo presente, aumento le probabilità che la vicenda dolorosa si consolidi nelle sue memorie e nel suo vissuto. Bisognerebbe invece favorire il meccanismo fisiologico del forgetting: a un certo punto la persona va avanti, dimentica; siamo costruiti per superarle, le cose. E in questo c’è una anche pesante responsabilità del sistema mediatico».
«Studi recenti hanno mostrato che c’è una correlazione diretta tra esposizione mediatica, tv, giornali, con una sovraesposizione di contenuti che parlano della pandemia, e disturbi d’ansia: è quello che il Direttore Generale dell’OMS ha ufficialmente chiamato ‘infodemia’, che costituisce un problema rilevante nel corso dell’attuale pandemia. L’infodemia è caratterizzata dalla mescolanza di verità, verità parziali e falsità. Se una persona spaventata dalla pandemia continua a rimuginare su tematiche relative a quel che è accaduto ed a quel che potrebbe accadere, e per di più è sommersa da notizie di tutti i tipi, peggiora. Qui si pone un problema reale di sanità pubblica: le informazioni dovrebbero essere sobrie, limitate e non contraddittorie. Se una persona viene sommersa da informazioni confuse il suo benessere può esserne danneggiato e questo riguarda non solo la comunicazione rivolta al grande pubblico ma anche la comunicazione scientifica. A partire da febbraio, sono stati prodotti una marea, un numero incredibile di articoli scientifici, il che pone seri problemi di selezione ed assimilazione dentro questo oceano di parole: alcuni studi recenti hanno sottolineato i rischi che questa situazione provoca per i medici interessati a sapere esattamente come stanno le cose, cosa è efficace e cosa non lo è».
«L’Istituto Superiore di Sanità ha prodotto delle raccomandazioni per gli operatori sanitari: questo documento, che definirei rivolto al futuro, è una tappa di un percorso da realizzare. I colleghi, in sintesi, sino ad oggi hanno in gran maggioranza retto bene la pressione dovuta ad una situazione eccezionale, certo con alcuni timori, giustificati, e una dose pur presente di stress. Non tutti godono di un adeguato supporto istituzionale, e parliamo di situazioni in cui il rischio per la salute è effettivo, reale; fortunatamente abbiamo superato la primissima fase, quella in cui mancavano i DPI e il timore dilagava, ed oggi siamo in una situazione più da guerra di trincea. Tre consigli per i colleghi: mai rinunciare al riposo notturno, mantenere un po’ di attività fisica pur con la dovuta prudenza e, se possibile, ridurre il fumo. Sono alcuni dei semplici accorgimenti che possono migliorare la salute psicofisica».
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