Il medico celebre per essere stato il pioniere delle cure domiciliari a Piacenza è preoccupato per la terza ondata: «Il vaccino ci mette tempo ad agire, intanto che facciamo? Abbiamo tolto interferone, remdesivir e idrossiclorochina e siamo tornati alla tachipirina»
In questi mesi di pandemia è stato uno dei protagonisti della scena medica con il suo modello di cure precoci domiciliari ormai noto in tutto il mondo, complice anche una copertina sul prestigioso Time. Oggi Luigi Cavanna, primario di Oncologia dell’ospedale di Piacenza, è preoccupato per l’andamento dell’epidemia e della possibile terza ondata che, probabilmente, affronteremo ancora senza armi.
«Quello che come cittadino e come medico mi mette in crisi è che in questi mesi non siamo riusciti a produrre nessun farmaco efficace per le cure precoci e per le cure tardive – spiega Cavanna a Sanità Informazione -. Anzi, si stanno ritirando progressivamente i farmaci che abbiamo utilizzato. Si punta tutto sul vaccino, ma il vaccino ci mette tempo ad agire, ammesso che poi funzioni bene. Ho sempre creduto nei vaccini ma se un malato si ammala a dicembre, a gennaio o a febbraio non possiamo dirgli ‘aspettiamo che tra poco arrivi il vaccino’».
Cavanna è tornato ad occuparsi prevalentemente di malati oncologici anche se qualche volta torna ancora, protetto dalle ormai arcinote tute e dai Dpi, a casa dei malati di Covid: «Per fortuna a Piacenza ci sono tante squadre che vanno a casa. Noi ci siamo ancora al bisogno» afferma Cavanna, che poi ammette: «Rispetto alla primavera i malati che abbiamo visto sono meno gravi ma fanno più fatica a migliorare. Ne abbiamo visitati una cinquantina ma di questi ne abbiamo ricoverati molti. Oggi ho ricevuto la mail di un collega di Imola che non conosco e che diceva: ‘mi trovo a ricoverare molti più malati della prima ondata’. Su questo dobbiamo fare una riflessione».
Cavanna mette nel mirino il protocollo di cure domiciliari elaborato dal Ministero della Salute ma anche le altre raccomandazioni sul tema circolate in questa seconda ondata: «Alla fine siamo ritornati al punto di partenza con la vecchia tachipirina – afferma l’oncologo piacentino -. Positiva l’introduzione del saturimetro, ma io non posso dire a una persona che ha la pressione alta: ‘tenga lo sfignomanometro, lo provi di tanto in tanto e speriamo che la pressione si abbassi’. Chi elabora questi protocolli dovrebbe mettersi al posto del malato qualche volta».
Cavanna è molto preoccupato anche per il progressivo ridursi delle ‘armi’ anti Covid-19 che stanno lentamente cadendo sotto la scure degli studi randomizzati: «Idrossiclorochina, remdesivir, interferone: si sta togliendo tutto. Poi è uscito un altro lavoro una settimana fa che mette in dubbio anche la terapia sul plasma, sempre attraverso uno studio randomizzato. Io comincio a mettere in dubbio la bontà di questi studi. Frequentai un corso con Alessandro Liberati, un grande studioso morto giovane, che ci ha insegnato a far le pulci agli studi clinici. Ora si prendono gli studi randomizzati come fossero oro colato. Cerchiamo di usare la nostra testa di persone che ragionano senza contestare a priori ma che analizzano uno studio e possono evidenziarne i punti deboli».
Cavanna spiega con accuratezza perché uno studio randomizzato può fallire: «In primis per certe caratteristiche di inclusione dei pazienti. Facciamo un esempio: io provo un farmaco su malati di tumore alla mammella che hanno meno di 60 anni, e che hanno delle caratteristiche biologiche. Potrei trovarmi davanti una persona di 61 anni che potrebbe giovarsi di questo farmaco. Ma non ho evidenza che possa funzionare perché questa persona non faceva parte di quel gruppo di pazienti inseriti nello studio».
«È stato dimostrato, ad esempio, che l’idrossiclorochina non funziona, ma gli studi fatti sono nel 99% su pazienti ospedalizzati. Sono pazienti che hanno malattia molto avanzata che dura da giorni o settimane. Traslare questa informazione sulle cure precoci è un errore metodologico che non si dovrebbe fare. Qualcuno deve spiegarmi perché l’idrossiclorochina se la può prendere una persona sana per mesi come prevenzione per la malaria e noi impediamo di darla per una settimana a una persona malata che rischia di morire».
Anche se su quest’ultimo punto l’Agenzia italiana del farmaco è stata chiara: «Il fatto che un farmaco venga utilizzato da anni per il trattamento di altre patologie non implica che il suo profilo di rischio/beneficio sia estendibile “automaticamente” ad ulteriori condizioni patologiche e in particolare a quelle molto complesse determinate da Covid-19».
Ora l’oncologo pioniere delle cure domiciliari anti Covid si dedicherà al rapporto tra Covid e malati di tumore: «Stiamo elaborando alcuni studi sul tema. Abbiamo avuto malati oncologici che magari hanno avuto il Covid da paucisintomatici e sono guariti. Ma poi alcuni tendono ad avere una ricaduta. Su questo sappiamo ancora poco».
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