Il Direttore dell’IRCSS San Gallicano di Roma, ex direttore dell’INMP, è in libreria con il volume “Covid-19 tra mito e realtà” in cui sottolinea le conseguenze sociali della pandemia
«Questa pandemia ci ha mostrato un’Italia simile alla tolda del Titanic: i passeggeri di terza classe sono annegati quasi tutti e quelli di prima classe si sono salvati quasi tutti». Sono parole di Aldo Morrone, Direttore scientifico dell’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma e storico dirigente della sanità laziale e nazionale: ha diretto l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della povertà e da decenni si dedica alla salute dei migranti, dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei senzatetto.
Ora in libreria è uscita la sua ultima fatica, “Covid-19 tra mito e realtà. Luci e ombre della pandemia che ha travolto il pianeta” (Armando editore), con prefazione di Walter Veltroni, un volume che oltre a raccogliere un anno di evidenze scientifiche sul Covid prova anche a spiegare quanti danni ha portato dal punto di vista sociale “il virus delle diseguaglianze”, che ha colpito di più soprattutto gli strati più poveri della popolazione mondiale. «Non è vero che di fronte alla malattia siamo tutti uguali – scrive Morrone -. Non lo siamo mai stati. Non è vero che corriamo tutti gli stessi rischi e abbiamo le stesse opportunità di curarci». Un ragionamento, quello di Morrone, che fa riferimento in primis alle persone più fragili da un punto di vista sanitario e sociale: anziani, bambini, precari, senza fissa dimora, donne, migranti. Ma anche ai paesi del terzo mondo dove, nonostante la pandemia, guerre e violenze non si sono fermate: come in Etiopia, dove Morrone da anni cura i malati nella regione del Tigray oggi sconvolta da un conflitto che sta provocando stragi di civili ed esodi di massa.
«È stato un anno difficile, doloroso che ci ha visto rimettere in discussione il ruolo della medicina, della scienza, della politica», spiega Morrone a Sanità Informazione. E continua: «La categoria più colpita dalla pandemia è quella delle persone impoverite, che hanno avuto un tracollo economico. Io faccio il medico e ricercatore, dirigo un istituto scientifico e mi rendo conto che c’è una difficoltà per le persone più impoverite sul piano economico e culturale ad essere curate presto e bene. Siamo riusciti a creare un Servizio sanitario eccezionale nel 1978, solidale, universale e gratuito. In realtà oggi chi ha più soldi può curarsi non dico meglio ma certamente prima. La pandemia ha sconfitto soprattutto le persone più deboli, che si sono ritrovate in una situazione difficile. Con il vaccino abbiamo vaccinato le persone ultraottantenni, gli operatori sanitari e gli ospiti delle RSA. Ma poi c’è una categoria che viene definita ‘altro’ e in questo ‘altro’ c’è stato di tutto: sono quelli capaci di farsi somministrare il vaccino senza averne diritto. Un’ulteriore diseguaglianza».
La pandemia, certo, non è arrivata inaspettata. Lo spillover, il passaggio di specie, era atteso da decenni. Morrone ripercorre nel libro le epidemie e le pandemie del passato, dalla spagnola all’AIDS. «Questa pandemia da Covid ha coinvolto tutto il mondo. Si è capito subito che era coinvolto l’intero pianeta e quindi c’è necessità di una risposta da parte di tutto il mondo. In passato altre epidemie sono state percepite come attinenti solo al mondo occidentale. E poi l’impatto del Covid-19 è in un mondo molto più interconnesso rispetto alla spagnola».
Il passaggio da pandemia a infodemia è stato quasi immediato. La battaglia contro la disinformazione è ancora in corso e Morrone elenca nel libro le principali fake news circolate in questo anno pandemico: ne ha rendicontate ben 70, da “la barba espone a un maggior rischio di infettarsi” a falsi miti come “il Covid non è peggio di un’influenza”. «Il virus creato artificialmente è la fake news che ancora oggi trova più adepti. E anche l’idea che il virus sia tutto un meccanismo per togliere la libertà da parte dei grandi poteri. Anche l’idea che la mascherina non serva a nulla è tra le più pericolose», sottolinea Morrone che poi difende invece le scuole dall’accusa di essere dei “moltiplicatori di contagio”: «Intanto la diffusione che il contagio tra gli studenti è il più basso di tutte le categorie. Sappiamo che i ragazzi si difendono molto meglio dall’infezione. Il rischio maggiore poteva essere il contagio dei docenti. Per questo si è deciso di vaccinare gli insegnanti. La scuola è il luogo prioritario per combattere la pandemia attraverso formazione, informazione e studio. È stato dimostrato che le persone laureate vivono più a lungo e meglio delle persone analfabete. Questo è un dato scientifico acquisito globalmente. Se noi chiudiamo la scuola è finita».
Infine, il Direttore scientifico del San Gallicano prova a tracciare la sua ricetta per la trasformazione del Servizio Sanitario. Nel volume, non risparmia critiche ad anni di tagli e a una politica “che ha provato a distruggere il SSN in nome del pareggio di bilancio”. «La cosa di cui sono particolarmente orgoglioso è che siamo riusciti a convincere il Cts a vaccinare le persone malate e fragili colpite da malattie più complesse: oncologiche, cardiologiche, neurologiche, ematologiche, ecc – spiega Morrone -. Siamo riusciti a fare in modo che queste persone individuate nella tabella come estremamente vulnerabili potessero ricevere il vaccino immediatamente. Nel nostro istituto abbiamo vaccinato oltre 2mila persone appartenenti a queste categorie. Il contagio in queste categorie determina il 50% in più di rischio di morire rispetto ad altri soggetti. Il Ssn ha retto bene nonostante i tagli portati avanti da dieci anni che hanno in gran parte distrutto le sue professionalità. Io spero che non si torni a prima ma si investa sul servizio socio–sanitario e quindi recuperare quelle che erano le caratteristiche delle Usl. Quando nel 1978 fu creato il Ssn c’erano le Usl, “Unità socio-sanitarie locali”. Poi abbiamo tolto il ‘socio’ e divennero “Unità sanitarie locali”. Infine sono diventate “Asl, Aziende sanitarie locali”. Il coinvolgimento sociale è elemento determinante della salute: il contesto lavorativo, della casa, dell’alimentazione, della scuola, dell’istruzione va recuperato all’interno di un’ottica in cui la medicina territoriale acquisti un ruolo importante. Abbiamo chiuso i consultori materno-infantili, abbiamo creato una sanità con grandi ospedali che sono fondamentali anche per la ricerca scientifica. Abbiamo bisogno di una medicina territoriale legata alla realtà delle persone. Penso, ad esempio, alla medicina scolastica, in fabbrica, nelle aziende. Se noi recuperiamo tutto questo la pandemia non sarà passata invano. Non ci saranno soltanto macerie ma opportunità di ricostruire un servizio socio-sanitario attento alla qualità della salute delle persone piuttosto che limitarsi ad erogare prestazioni sanitarie».
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