Salute 15 Luglio 2021 12:29

Covid-19, Miozzo (ex CTS): «Eravamo soli con una patata bollente, oggi tutti maestri del senno di poi»

Nel webinar ALTEMS le esperienze, i ricordi e i bilanci dei protagonisti della fase 1. Antonelli (Policlinico Gemelli): «Cercavamo una guida, ma la guida eravamo noi». E Ricciardi sposa la linea francese

Covid-19, Miozzo (ex CTS): «Eravamo soli con una patata bollente, oggi tutti maestri del senno di poi»

Un vero e proprio incontro al vertice quello svoltosi ieri durante il webinar organizzato da ALTEMS (Università Cattolica del Sacro Cuore) insieme ai protagonisti della prima fase della pandemia di SARS-CoV-2, tra cui i membri del primo Comitato Tecnico Scientifico istituito per far fronte all’emergenza che ha letteralmente travolto l’Italia nella primavera del 2020. L’incontro è stato l’occasione per tracciare un bilancio, per portare all’attenzione ognuno la propria percezione del fenomeno, caratterizzata da un minimo comune denominatore, l’incertezza totale, ma soprattutto cercare di capire cosa ha funzionato e cosa no nella gestione iniziale della pandemia, per imparare e fare tesoro di questa esperienza, errori compresi.

La domanda cardine: come siamo andati finora?

A rispondere è Agostino Miozzo, ex coordinatore del CTS: «Ce la siamo cavata bene, tutto sommato. Ma la cosa interessante è che ce la siamo cavata bene ‘all’italiana’. Siamo un Paese abituato da sempre a vivere ‘in emergenza’, e questo ci ha fatto sviluppare una naturale resilienza e spirito di adattamento che in questa circostanza, sebbene fossimo totalmente impreparati, ci ha aiutato. Siamo oggi ancora nel guado – continua Miozzo – e nonostante la luce in fondo al tunnel non sia più un barlume dobbiamo restare in guardia. Come era prevedibile, oggi si sprecano i professionisti del ‘senno di poi’: ma è bene ricordare che quando tutto è incominciato noi eravamo soli, con in mano la patata bollente di prendere decisioni anche apparentemente banali (la distanza di un metro o di due metri?) che avrebbero fatto la differenza tra la vita e la morte di tante persone. Decisioni basate sull’incertezza che regnava a livello globale e prese sotto lo stress emergenziale. La pandemia ha scoperchiato un vaso di Pandora sull’assoluta impreparazione del Paese a fronteggiare un’emergenza: dalle scuole, con le “classi pollaio”, al sovraffollamento nei trasporti, passando per gli ospedali sottodimensionati. Eppure – osserva l’ex coordinatore CTS – almeno sulla carta, di pandemie sapevamo tutto, il problema è che mancava, e manca, una vera cultura di gestione delle pandemie. Intanto, i principali ministeri non hanno un dipartimento per la gestione delle crisi, e questo è grave. In futuro credo debba iniziarsi a considerare un provvisorio superamento del Titolo V della Costituzione in stato di emergenza, e investire nella comunicazione social a livello istituzionale».

Fuori e dentro gli ospedali: cosa è accaduto davvero nella fase 1

Ne parla Massimo Antonelli, membro del primo CTS e direttore del dipartimento di Anestesia e Rianimazione al Policlinico Gemelli di Roma. «Cercavamo una guida, ma la guida eravamo noi. Gli ospedali sono stati letteralmente travolti – spiega – e poco dopo il resto d’Europa era già nella stessa situazione. Siamo entrati in concorrenza con gli altri Stati per accaparrarci quante più attrezzature possibili che fossero disponibili sul mercato, ventilatori in primis, per ricavare più posti in terapia intensiva. Abbiamo riconvertito e formato personale in tempi brevissimi, abbiamo contrattualizzato specializzandi, e i risultati non sono sempre stati ottimali ma in una situazione di emergenza non potevamo fare altro. E andavamo avanti per supposizioni logiche, non suffragate da evidenze scientifiche. Semplicemente perché, di evidenze scientifiche, non ce n’erano, ed era così per tutti, in ogni parte del mondo. Sicuramente – osserva Antonelli – la diffusione rapida delle informazioni a livello internazionale ha permesso di superare prima e meglio molte delle incertezze iniziali. Uno degli elementi di “scontro” con il decisore politico è stato l’interpretazione delle raccomandazioni, che spesso andavano in senso opposto a quello che noi realmente intendevamo. Anche tra noi membri del Comitato – rivela – ci sono state accese discussioni ma siamo sempre arrivati a un punto di sintesi e ogni verbale è sempre stato sottoscritto all’unanimità. Sulla comunicazione vaccini? Doveva esserci una sola catena di comando, invece ognuno ha detto la sua: una follia».

Uno sguardo al resto del mondo, per aiutarci a capire dove siamo adesso

A fare una panoramica è Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza ed ex presidente dell’ISS: «In Italia purtroppo non stiamo imparando dagli errori: il virus si sta organizzando per bypassare i vaccini. Molte varianti – afferma Ricciardi – stanno causando problemi in Colombia, Brasile, Perù, dove le TI sono piene. L’Africa è messa malissimo, solo l’1% della popolazione è vaccinato, e la giovane età del continente poco può contro la contagiosità della variante Delta. La linea inglese delle riaperture è fuori dalla realtà, e infatti in Regno Unito interi reparti negli ospedali si stanno infettando nonostante gli operatori siano vaccinati. L’Australia ha gestito bene la prima fase, dopodiché in una fase di autocompiacimento ha deciso di non vaccinare, e un singolo focolaio li ha riportati a un nuovo lockdown. In Russia è record di morti, con un vaccino non approvato da Ema né da Fda, che addirittura molti in Italia volevano comprare. La quarta ondata è probabile – osserva – a prescindere dalle ospedalizzazioni. Ma dare il via libera al virus significa allenarlo a resistere al vaccino, sulla massa di persone hai comunque una percentuale di persone non vaccinata che può sviluppare la forma grave, e gli operatori sanitari possono contagiarsi e non fornire cure. La Francia è andata nella direzione giusta – continua Ricciardi – e mi auguro che ne seguiremo le orme: non obbligo vaccinale ma meccanismi di incentivazione che autorizzano la frequentazione di ambienti affollati solo se vaccinati. Credo che l’obbligo vaccinale debba esserci però per gli insegnanti, così come vale già per gli operatori sanitari».

Cosa abbiamo imparato

A fare il punto sui take home messages è Americo Cicchetti, direttore ALTEMS (Università Cattolica del Sacro Cuore): «Quello che sin dall’inizio abbiamo fatto, come ALTEMS, è stato attraverso report settimanali che vanno avanti dal 31 marzo 2020, cercare di analizzare e comprendere la risposta alla pandemia in prospettiva regionale, non al fine di stilare classifiche tra strategie vincenti o perdenti, ma semplicemente per confrontare le diverse esperienze in chiave utile al Ssn per meglio indirizzare i propri sforzi.  Sicuramente abbiamo imparato che laddove la pandemia è stata affrontata a domicilio e sul territorio i risultati sono arrivati, dobbiamo quindi continuare ad investire in questo stesso setting assistenziale anche per la cronicità, così come nella telemedicina e nel teleconsulto, oltre che nell’integrazione dei dati. Sarà poi fondamentale – conclude Cicchetti – nella gestione di emergenze sanitarie future, coinvolgere al tavolo decisionale altri settori nevralgici, come i trasporti».

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