La nuova direttrice del dipartimento malattie infettive dell’ISS tra i protagonisti dell’incontro “Infodemia da Covid-19: cronache di un’emergenza mediatica” organizzato dall’università Sapienza di Roma
La pandemia di Covid-19 ha modificato la comunicazione e divulgazione scientifica e sanitaria. Le persone hanno dedicato tempo ed attenzione a Tg e programmi di approfondimento con conseguente fiducia nei media. Tuttavia, hanno letto e ascoltato, spesso, informazioni contradditorie, opinioni contrastanti rispetto all’emergenza sanitaria, c’è stato un aumento di fake news e titoli clickbait, veicolati soprattutto da social network e fonti non ufficiali. Tutto questo ha generato confusione, disorientamento e perdita di fiducia nella scienza e negli scienziati.
Come migliorare l’informazione sanitaria è stato l’obiettivo del dibattito dal titolo “Infodemia da Covid 19: cronache di un’emergenza mediatica”, tenutosi all’università Sapienza di Roma. Esperti e giornalisti si sono confrontati sulle conseguenze della disintermediazione nella ricerca delle notizie e della ipersemplificazione delle notizie, che spesso banalizza fenomeni complessi. Ne è emersa la necessità di costruire un format per il confronto continuo tra mondo scientifico e mondo della divulgazione.
A livello comunicativo, quali sono gli errori principali che sono stati fatti? «La compresenza all’interno di un talk show televisivo di esperti con opinioni divergenti o la voglia di dare rapidamente una notizia quando ancora non c’è dal punto di vista della comunità scientifica» espone ai nostri microfoni Michaela Liuccio, Sociologa e Presidente del Corso di Laurea in comunicazione scientifica biomedica dell’Università Sapienza di Roma.
Come imparare dall’esperienza ed evitare che ciò accada in futuro? «Comunicare meno e in maniera più convergente rispetto alla linea delle istituzioni – aggiunge la professoressa -. Troppa trasparenza rispetto a un percorso di ricerca in itinere può gettare nella confusione i cittadini. Divulgare la scienza in modo corretto è una sfida – ammette – perché gli effetti di una buona o una cattiva comunicazione della scienza hanno un impatto sulle persone che spesso sono allarmate e hanno difficoltà a prendere decisioni».
All’evento ha partecipato la professoressa Anna Teresa Palamara, Ordinario di microbiologia e microbiologia clinica nell’Università Sapienza di Roma e, da qualche settimana, nuova direttrice del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità. Prima donna a ricoprire questo incarico, succede a Gianni Rezza.
«Sono onorata di dirigere un dipartimento con una lunghissima tradizione – dichiara -. Stiamo lavorando molto alacremente a definire gli obiettivi prossimi che riguardano soprattutto la messa a punto del piano sequenziamenti. Ci tengo a ribadire che il piano già esiste, è attivo all’ISS e coinvolge moltissimi laboratori italiani che finora hanno lavorato gratuitamente e non hanno ricevuto nessun finanziamento. Il primo obiettivo è quello di dare stabilità a questa rete pubblica che è un deposito di dati e metterla a disposizione di tutte le regioni. Stiamo lavorando per dare continuità, rafforzarla e renderla performante ad affrontare le sfide del futuro. Questo richiede tempo, soldi, competenze, risorse. L’obiettivo è essere pronti a settembre».
Sul virus e le varianti, la professoressa Palamara ha parlato di “dati di fatto”. «Ci dobbiamo aspettare in continuazione le varianti, sono assolutamente normali per virus respiratori e ad RNA. Più circola, più emergono varianti. È possibile che daranno al virus la capacità di diffondersi meglio, ma non è detto che questo si associ a una patologia più severa. È possibile – prosegue la Palamara – che aumentando la platea di infetti, aumentino le ospedalizzazioni, ma non è giusto terrorizzare la popolazione su questo. Il rischio c’è, va gestito e vanno per questo mantenute le procedure di sicurezza».
I dati evidenziati dalla curva epidemica sono in continuo miglioramento: scendono costantemente i decessi, i contagi e la pressione sul SSN. È sufficiente per considerarci al di fuori della pandemia? «Siamo in una fase della pandemia molto favorevole – spiega il Professor Paolo Villari, direttore del dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive dell’Università Sapienza di Roma – ma non siamo completamente fuori dall’emergenza. Dobbiamo sperare che i vaccini conferiscano a tutta la popolazione quella protezione immunitaria che auspichiamo».
In questo momento, c’è bisogno di un sistema di monitoraggio e tracciamento valido ed efficiente. La variante Delta del virus – la mutazione indiana rispetto al ceppo originario – è quella che desta più preoccupazione, vista l’ondata di nuovi contagi nel Regno Unito. «Le varianti rappresentano un evento normale per quanto riguarda i virus a RNA – continua Villari -. Quelle emerse fino a questo momento, sebbene documentino una maggiore probabilità di trasmissione e contagiosità, sembrano non bucare la protezione conferita dai vaccini, soprattutto con le due dosi. Per ora non ci sono particolari allarmi. L’obiettivo fondamentale è vaccinare».
«La vaccinazione eterologa è un qualcosa che è già entrato nella pratica vaccinale da tempo, ad esempio, con la vaccinazione antinfluenzale. I primi dati a disposizione – evidenzia Villari – documentano che la protezione immunitaria conferita dalla vaccinazione eterologa è buona, anzi in alcuni casi sembra che la copertura immunitaria sia più elevata. Io questo non lo so e non lo sa nessuno ma non c’è al momento nessuna evidenza scientifica che non possano funzionare».
In Italia sono tracciate tutte le varianti presenti? «Il sequenziamento del virus – aggiunge il professor Villari – presuppone una infrastruttura di laboratorio che sicuramente in Italia deve essere potenziata. La capacità di sequenziamento rispetto ad altri paesi, soprattutto al Regno Unito, è minore ma stiamo recuperando» precisa Villari. «Ci sono una serie di laboratori che sono in grado di effettuare il sequenziamento, esiste un protocollo messo a punto dall’ISS con indagini campionarie quindi abbiamo un’idea dalle varianti circolanti in Italia, ma ci aspettiamo che il sequenziamento possa diventare una pratica di sanità pubblica. In questo periodo il tracciamento dei casi deve essere assolutamente potenziato».
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