Una ricerca italiana condotta dall’Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dall’Irccs Istituto Auxologico Italiano, entrambi di Milano, apre nuove strade nella terapia dell’infezione da Coronavirus
In attesa di un vaccino specifico, tutto il mondo è impegnato in una corsa contro il tempo per comprendere i meccanismi fisiopatologici che contraddistinguono le varie manifestazioni della malattia da Covid-19 e di conseguenza individuare possibili trattamenti terapeutici in grado di “arginare” le manifestazioni cliniche più gravi. Il Covid-19 si presenta infatti con un quadro clinico che varia da una forma con sintomi minimi come tosse e febbricola, a forme gravi con insufficienza respiratoria che sino al 15% dei casi possono essere pericolose per la vita.
Le forme gravi sono legate ad un’eccessiva risposta infiammatoria all’invasione del virus. L’intensa infiammazione, meglio nota come “tempesta citochinica”, sarebbe responsabile del danno a livello polmonare e di altri organi, contribuendo anche alla formazione di coaguli nei vasi sanguigni. Per tale motivo sono stati usati farmaci che bloccano i mediatori dell’infiammazione, cioè le citochine, prendendo “in prestito” preparati farmacologici dalla terapia di malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide. I risultati, seppure promettenti, sono in attesa dell’esito di studi clinici in grado di validarne formalmente l’efficacia.
Uno studio pubblicato sul “Journal of Allergy & Clinical Immunology” e condotto dall’Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dall’Irccs Istituto Auxologico Italiano ha aperto una nuova via dimostrando per la prima volta come in corso di Covid-19 grave sia attivata la cascata del complemento. Ma cos’è quello che i ricercatori chiamano per brevità “complemento” e perché è così importante?
«Il complemento», spiega in una nota il prof. Pier Luigi Meroni, Direttore del Laboratorio Sperimentale di Ricerche di Immunologia Clinica e Reumatologia dell’Auxologico di Milano, «è costituito da una serie di proteine che si attivano a cascata in maniera molto simile a quella della coagulazione. Ha una funzione essenziale nelle difese dell’organismo verso agenti infettivi e verso neoplasie, la cosiddetta “immunità innata”, quella componente di sistema immunitario che si attiva ancor prima che si sviluppi una risposta immune specifica. È in grado di scatenare la produzione di fattori infiammatori quali le anafilatossine, di stimolare l’attivazione della stessa coagulazione e, in caso di mancato controllo, di sostenere un’esagerata risposta infiammatoria. L’inibizione del complemento ha un potenziale terapeutico in corso di Covid-19 grave perché, agendo contemporaneamente sia sull’infiammazione sia sulla coagulazione, può prevenire un ulteriore danno polmonare e sistemico».
«Lo studio», aggiunge il prof. Massimo Cugno, dell’Unità Operativa di Medicina Generale – Emostasi e Trombosi del Policlinico di Milano, Centro Angelo Bianchi Bonomi, Università degli Studi di Milano, «ha dimostrato che i 31 pazienti con Covid-19 e insufficienza respiratoria avevano segni di attivazione della cascata del complemento evidenziati utilizzando test molto sensibili che solitamente si usano nel monitoraggio e nella cura di malattie rare legate al complemento. La presenza di prodotti di attivazione del complemento in questi pazienti si è dimostrata associata al grado di gravità della malattia. Lo studio ha quindi offerto da un lato un nuovo strumento prognostico per il Covid-19 e dall’altro il razionale per l’uso terapeutico di farmaci bloccanti il complemento fino ad ora utilizzati solo come “ultima spiaggia” o, come si dice, per uso compassionevole. Gli stessi test potranno essere di aiuto nel monitorare in modo sensibile la risposta o la non risposta a questo tipo di farmaci permettendo quindi di personalizzare le cure nei singoli pazienti».
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