Il Professore della Emory University, animatore del blog ‘Pillole di Ottimismo’, ha illustrato in Commissione Sanità i dati dei paesi più avanti con le vaccinazioni: «Negli USA casi in calo in 46 Stati su 50 senza particolari misure di restrizione. E in Israele la curva dei casi fra gli over 60 sta calando rapidamente»
«Nel Regno Unito si è registrato un calo del 70% dei nuovi casi nell’ultima settimana, a cui ha certamente contribuito il lockdown ma è un periodo che di fatto coincide con la vaccinazione di massa». Il virologo Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia Generale alla Emory University di Atlanta, promotore del seguitissimo blog di divulgazione scientifica Pillole di Ottimismo, illustra nel suo intervento in audizione in Commissione Sanità al Senato i risultati della campagna vaccinale nel mondo. Risultati che sembrano davvero molto incoraggianti, almeno a vedere i dati che arrivano dai paesi che sono in fase più avanzata.
A cominciare da Israele dove è stata portata avanti una politica aggressiva di vaccinazione sopra i 60 anni: «Dal 18 dicembre al 3 febbraio il calo del numero dei nuovi casi e delle ospedalizzazioni è molto più marcato nella popolazione over 65 (con i soggetti vaccinati) e molto meno nella fascia tra 0 e 59 anni, non vaccinata» sottolinea Silvestri che poi porta i dati degli Stati Uniti: «Negli USA siamo nella fase 1A con la vaccinazione dei lavoratori della sanità. A breve partirà la fase 1B con i lavoratori essenziali e gli adulti sopra i 65 anni e con condizioni a rischio». In alcune aree degli States i risultati sono già molto incoraggianti: «A Chicago, per esempio, nei distretti dove ci sono più vaccinazioni ci sono meno morti e viceversa. Negli USA il calo dei casi a sette giorni è del 57% e 46 dei 50 Stati hanno un calo superiore al 30%: tutto ciò senza che vi sia stata l’introduzione di grandi misure di restrizione a parte qualche città». A livello mondiale sono circa 100 milioni le dosi di vaccino iniettate, 70-80 milioni le persone che hanno avuto almeno una dose.
Resta però il tema delle varianti: i vaccini saranno in grado di contenerla? Anche su questo Silvestri invita a non essere catastrofisti. «La variante inglese non era lo spauracchio che si temeva, la mutazione fondamentale nella proteina spike non riduce la capacità degli anticorpi di neutralizzare il virus. La riduzione è più osservabile per quanto riguarda la variante sudafricana. Sarebbe sei volte meno sensibile agli anticorpi prodotti con vaccinazione a RNA. Ma ciò non significa che la variante sia resistente completamente al vaccino». Tuttavia secondo Silvestri non bisogna allarmarsi troppo per le varianti: significa solamente che si cono stati molti più studi di sorveglianza epidemiologica. «L’importante è fare la sorveglianza epidemiologica: vedere quante sono le varianti, dove sono e se stanno diventando dominanti».
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