Il medico di famiglia romano e già presidente facente funzioni di Agenas pone alcune domande sui dati della regione Lazio. Dal numero dei tamponi effettuati a quello di guariti e ricoverati: «Bisogna prestare attenzione alle differenze riscontrate tra le diverse regioni»
Nei primi giorni di epidemia italiana, gli appassionati di numeri hanno passato ore a studiare le tabelle colorate della Protezione civile: dati (suddivisi per regione) dei casi totali, ricoverati, tamponi, isolamenti e incrementi. Un esercizio entusiasmante, quello del confronto tra le diverse aree del Paese e dell’analisi di quelle inspiegabili differenze tra numeri, che continuano tutt’oggi a registrarsi. Poi è diventata routine anche questa attività, e l’analisi dei numeri ha finito per annoiarci. Ora però che la Fase 2 è ufficialmente iniziata, e che l’eventuale ripristino di misure restrittive sarà basato proprio sui dati, quei numeri tornano ad essere attenzionati.
Sono 21 i parametri indicati dal Ministero della Salute per valutare l’andamento dell’epidemia sul territorio: tra questi, il numero dei contagiati, dei tamponi effettuati, del personale sanitario dedicato ai pazienti Covid e il tasso di occupazione dei posti letto: «È l’insieme di più di un criterio che fa scattare l’allarme rosso», ha precisato a Sanità Informazione il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa. Le tabelle tornano quindi ad essere di estrema importanza; ma ci sono alcuni elementi, relativi in particolare alla regione Lazio, che non convincono Stefano De Lillo, medico di famiglia romano e già presidente facente funzione di Agenas.
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«È indubbio che in base ai numeri l’epidemia stia scemando. I dati sono confortanti e va ancora una volta rivolto un plauso a tutti gli operatori sanitari che sono stati straordinari», tiene a precisare De Lillo. «Ma guardando i numeri del Lazio – continua -, vediamo che negli ultimi giorni i nuovi contagiati sono stati di più rispetto a periodi precedenti o ad altre Regioni: ieri, con 50 nuovi casi, il Lazio è stata la terza regione con il numero più alto di nuovi contagi, subito dopo Lombardia e Piemonte. E tra l’altro – aggiunge De Lillo – nella regione sono stati anche effettuati pochi tamponi, solo 64 ogni 100mila abitanti. Su questo parametro in Italia siamo sestultimi, dopo regioni come il Molise o la Basilicata. Ma se si fanno pochi tamponi si trovano pochi positivi, ed il rischio è che ora le regioni ne eseguano ancora meno per il timore di nuove restrizioni».
Ma un altro numero su cui De Lillo vuole puntare i riflettori è quello relativo ai ricoverati: «Ieri erano 1150 i pazienti ricoverati con sintomi e 74 quelli in terapia intensiva a fronte di un numero totale di casi pari a 7446. Anche in questo caso il Lazio è terzo in Italia per ricoverati e quarto per i dati relativi alla terapia intensiva. Sono numeri parecchio alti, se pensiamo che ad esempio il Piemonte ha 1620 pazienti ricoverati ma ha avuto quasi 30mila casi totali. È evidente quanto sia importante allora comunicare anche i movimenti cui assistono gli ospedali: quanti sono i pazienti che ogni giorno vi entrano e quanti quelli che escono, in modo da avere un quadro più preciso dell’andamento attuale dell’epidemia in ogni regione. Ma ad ogni modo non mi spiego come mai i reparti del Lazio non si stiano svuotando come succede nelle altre parti d’Italia».
E poi c’è il numero dei guariti: 2914 nel Lazio su quasi 7500 casi, quando in Campania sono 2592 su 4684 casi totali: «Non so darmi una risposta per spiegare queste differenze – commenta De Lillo -. Possono essere le terapie utilizzate o la difficoltà a reperire i tamponi necessari a provare la guarigione. Ho saputo di pazienti che sono stati sottoposti all’isolamento domiciliare che non riuscivano a fare il tampone per certificare la loro guarigione e poter quindi riuscire. Il nodo quindi potrebbe essere sempre questo, i tamponi, ma io non posso averne la certezza. So solo che intorno al 4 aprile i ricoveri nel Lazio rappresentavano il 4% del totale mentre oggi sono il 10%».
«Ora nel Lazio partirà la campagna per fare il test sierologico a 300mila persone. Peccato che si attesteranno solo le immunoglobuline G (IgG), che sono anticorpi che compaiono dopo diversi giorni dal contatto con il virus, e non le IgM, che invece compaiono precocemente e che vengono testate sempre in ogni ambito. Da medico – conclude De Lillo – mi chiedo perché sia stata fatta questa scelta. Sarebbe invece stato molto utile, visto che sappiamo ancora poco di questo virus, avere anche questa informazione».
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