Salute 21 Gennaio 2021 08:03

Covid e animali domestici, nessun rischio da gatti e cani. Lo studio

Dai dati raccolti dagli scienziati italiani si esclude che gli animali domestici abbiano un ruolo nella diffusione del contagio all’uomo: «La suscettibilità al nuovo coronavirus degli animali da compagnia dipende da uno stretto contatto con persone che sono risultate positive»

Covid e animali domestici, nessun rischio da gatti e cani. Lo studio

Non esistono evidenze che gli animali da compagnia svolgano un ruolo epidemiologico nella diffusione all’uomo di Sars-Cov-2. I dati raccolti finora, infatti, sembrano escludere che gli animali domestici aiutino la diffusione del virus responsabile di Covid-19.

A tranquillizzare sulla sicurezza del rapporto con i nostri amici a quattro zampe anche in tempi di pandemia sono Anna Costagliola, ricercatrice del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali dell’università di Napoli Federico II, e Giovanna Liguori, dirigente veterinario dell’Asl di Foggia, prime firmatarie di un intervento pubblicato sulla rivista ‘Animals’.

Un tema caldo da sempre, «a causa del ritrovamento del coronavirus Sars-CoV-2 nei visoni da pelliccia di allevamento intensivo, trasmesso loro da operai Covid-positivi» spiega all’Adnkronos Salute Antonio Giordano, direttore e fondatore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia, Usa, professore di Anatomia e Istologia patologica all’università di Siena e autore senior dell’articolo. «Scoperta che ha aperto la strada all’ipotesi verosimile di una possibile trasmissione del virus dall’animale all’uomo. Da qui questo ‘commentary’ in cui abbiamo cercato di evidenziare il ruolo che gli animali potrebbero svolgere nella diffusione di Sars-CoV-2 all’uomo e quindi nell’epidemiologia della malattia stessa».

«Nessuna evidenza giustifica sospetti intorno ai compagni di vita a quattro zampe»

A fronte dei «pochissimi casi di infezioni da Sars-CoV-2 negli animali domestici (gatti, furetti e cani) riportati dalla sorveglianza veterinaria e dagli studi sperimentali», gli scienziati affermano che «la suscettibilità al nuovo coronavirus degli animali da compagnia è strettamente dipendente da uno stretto contatto con persone che sono risultate positive». Allo stato attuale, non esiste alcuna evidenza che possa giustificare sospetti intorno ai nostri compagni di vita a quattro zampe.

I pet possono contrarre il virus dai proprietari positivi

Gli studi sperimentali e le evidenze epidemiologiche, tuttavia, dimostrano che i pet possono contrarre l’infezione da Sars-CoV-2 attraverso il contatto stretto con persone infette. «Risulta quindi indispensabile – raccomandano Francesca Ciani e Danila d’Angelo, ricercatrici del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali della Federico II – che i medici veterinari si facciano carico della tutela del benessere degli animali da compagnia consigliando i proprietari positivi al coronavirus di limitare l’esposizione al virus dell’animale, affidandoli temporaneamente a parenti, amici o associazioni per garantire i loro fabbisogni comportamentali non sempre compatibili con l’isolamento obbligatorio dei proprietari».

Giordano: «Attuare idonei piani di tutela ambientale e salvaguardia del benessere di animali selvatici»

Il direttore Giordano è «convinto che, laddove non vengano attuati idonei piani di tutela ambientale e salvaguardia del benessere di animali selvatici, che in natura occupano nicchie ecologiche ben definite che non verrebbero mai a contatto con una a maggiore pressione antropica, il rischio zoonosico aumenta in modo considerevole. Tutto ciò può essere inglobato nella visione One Health che prevede un approccio olistico volto a garantire la salute umana, animale e la tutela dell’ambiente». Sullo stesso piano Caterina Costa dell’Istituto nazionale tumori di Napoli, Fondazione Pascale: «È importante promuovere e potenziare lo scambio di informazioni tra i medici veterinari e l’Istituto superiore di sanità (Iss), per formulare le raccomandazioni giuste e attuare le misure efficaci di gestione del rischio Sars-CoV-2 utilizzando un approccio One-Health» conclude.

 

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