È made in Italy la ricerca che svela come si attiva questo meccanismo barriera. Fei (psichiatra): «Gli antidepressivi, agendo sui “messaggeri neurologici” come la serotonina e la noradrenalina, riescono a ridurre nel sangue i livelli di interleuchina 6. Effetti analoghi anche sui soggetti fragili»
Che i farmaci antidepressivi abbiamo un effetto scudo sul Covid-19 non è una novità. È stato dimostrato sia da studi europei che oltreoceano. Ma è italiano, e più precisamente dei ricercatori del Careggi di Firenze, il merito di aver svelato il meccanismo di questo effetto barriera. «I pazienti ricoverati per Covid (oggetto dello studio in questione) che assumevano una particolare classe di antidepressivi, quelli che preservano i livelli di serotonina e noradrenalina nel cervello, e che hanno continuano ad assumerli anche durate l’infezione, hanno mostrato un rischio minore di sviluppare gravi complicanze come la polmonite», spiega Leonardo Fei, psichiatra e direttore della Psiconcologia di Careggi e autore dello studio.
«I medicinali che combattono il “mal di vivere”, agendo su “messaggeri neurologici” come la serotonina e noradrenalina, riescono a ridurre nel sangue i livelli di interleuchina 6 (IL-6). Questa sostanza, attivata in modo particolare dal Covid-19 – continua Fei -, è la molecola principalmente coinvolta nella tempesta infiammatoria responsabile della maggior parte dei danni causati dal coronavirus all’organismo e in particolare all’apparato respiratorio».
Ma c’è di più. Gli antidepressivi sono stati così efficaci da proteggere anche i pazienti più “sfavoriti”: «Anziani e soggetti affetti da più patologie pregresse che assumevano questi farmaci, e che non ne hanno interrotto la somministrazione durante il Covid-19, hanno beneficiato degli stessi effetti protettivi riscontrati in pazienti giovani e privi di comorbilità – dice lo psichiatra -. Più in generale, chi tra questi pazienti ha contratto la polmonite non ha mostrato una forma grave della patologia, il ricorso ad ossigeno e la possibilità di trasferimento nel reparto di terapia intensiva sono risultati notevolmente ridotti».
Un risultato, quello raggiunto dalla collaborazione degli specialisti dei reparti di Malattie infettive, Immuno-allergologia e Covid della Medicina interna di Careggi, dalla duplice importanza. «Da un lato – aggiunge Fei – questa nostra ricerca mostra chiaramente che al ricovero in ospedale non deve coincidere l’interruzione delle terapie pregresse in corso. Se ci sono le condizioni adeguate al proseguimento del trattamento è sempre meglio non interromperlo. In secondo luogo, questi risultati aprono un orizzonte sulla comprensione dei meccanismi biochimici alla base delle reazioni infiammatorie da coronavirus e all’eventuale sviluppo di nuove terapie. Ma attenzione – sottolinea lo specialista – ciò non significa utilizzare in modo inappropriato gli antidepressivi, che devono essere impiegati sempre e solo sotto stretto controllo medico»
Anche i risultati preliminari di nuove ricerche in corso confermano quanto mostrato dagli studiosi dell’ospedale fiorentino. «Nuovi dati continuano a mostrarci che la strada intrapresa è quello giusta. E noi – conclude – continueremo a batterla».
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