Numerosi studi dimostrano che la durata della risposta immunitaria contro il Sars-Cov-2 nei guariti è di lunga durata. Perché non posticipare i vaccini ai guariti per dare precedenza a chi non ha avuto l’infezione? Il commento di Guido Rasi, ex Direttore Esecutivo dell’EMA e Direttore Scientifico Consulcesi
Più di 4 milioni di persone in Italia hanno contratto il Covid-19 e hanno superato la malattia. Le stime riguardano, chiaramente, solo chi ha avuto la diagnosi ufficiale con il tampone, ma i numeri reali potrebbero essere molto più alti. C’è anche, infatti, chi ha sviluppato l’infezione in forma asintomatica e non sa neppure di averla avuta.
Ma la guarigione non è un muro invalicabile dal virus; alcune persone, infatti, nel corso dei mesi, si sono reinfettate, anche se il rischio è ridotto. Le domande a cui cercano di rispondere numerosi gruppi di ricerca sono: “Quanto dura la protezione prodotta dall’infezione naturale?”, “Come si comporta, quindi, il nostro sistema immunitario quando incontra Sars-Cov-2?”
Lo studio recente dei ricercatori dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità fa ben sperare. I dati dimostrano che i guariti hanno un’immunità naturale contro il virus, una memoria immunologica che dura fino a otto mesi dall’infezione, indipendentemente da età, patologie e gravità della malattia.
Dalla ricerca, pubblicata su Nature Communications, emergono due buone notizie: la prima è che la formazione di anticorpi neutralizzanti contro Sars-CoV-2 nei primi 15 giorni evita un decorso grave della malattia. La seconda è che la protezione immunitaria degli anticorpi neutralizzanti persiste a lungo. Anche l’indagine dell’Humanitas University di Milano, segnala che gli anticorpi derivati dall’infezione naturale persistono fino a dieci mesi, soprattutto nei soggetti sintomatici.
Ad oggi, secondo quanto stabilito dalla circolare del ministero del 3 marzo 2021, anche i guariti possono essere vaccinati contro il Sars-Cov-2. Il ministero ha autorizzato la somministrazione di una sola dose di vaccino anti Covid a persone con una pregressa infezione, sia per casi sintomatici che asintomatici. L’inoculazione, però, deve avvenire ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa.
In base agli ultimi dati è lecito chiedersi se non sia opportuno posticipare i vaccini ai guariti per dare precedenza a chi non ha avuto l’infezione. Un’altra strada da percorrere potrebbe essere quella di verificare l’immunità con un test sierologico a tutti prima del vaccino. Ha risposto a queste domande Guido Rasi, ex Direttore Esecutivo dell’EMA, Direttore Scientifico Consulcesi e Responsabile Scientifico del corso Fad “Il Covid-19 tra mutazione e varianti. Una nuova sfida per i vaccini e le terapie” del provider Sanità In-Formazione.
«Alla luce di questi dati si potrebbe posticipare l’unica dose del vaccino prevista per i guariti ad almeno sei mesi di distanza dall’infezione – propone Guido Rasi a Sanità Informazione -. Secondo me, sia la copertura naturale che quella vaccinale durano più di sei mesi, fino ad un anno – dichiara -. Sarebbe una scelta di buon senso, ma il punto è che non so se c’è tempo di ripianificare tutta la campagna di vaccinazione». L’obiettivo primario attuale, infatti, è «vaccinare una larga fetta di popolazione nel più breve tempo possibile» puntualizza Rasi. E sul terzo richiamo anti-varianti del vaccino su cui tanto si è dibattuto, Rasi precisa: «Non è più così imminente. Per ora non ci sono indicazioni sulla necessità di fare una terza dose: l’immunità dura, le varianti vanno monitorate».
Forse, prima di valutare l’ipotesi terza dose e pensare di rivaccinare tutti si potrebbe ricercare quale è stata la risposta immunitaria al vaccino. «I dati dell’esperienza inglese e recenti studi ci dicono che dopo i 21 giorni dalla prima dose c’è già una grande protezione». Rasi commenta anche il polverone sollevato dalla decisione di rimandare la seconda dose di Pfizer a 42 giorni: «È da poco stato pubblicato un lavoro scientifico importante da cui emerge che ritardando la seconda dose del vaccino Pfizer si hanno risultati ancora migliori. La dibattuta scelta dei 42 giorni non solo trova conferma, ma sembra che arrivare a 84 giorni migliorerebbe ulteriormente la risposta immunitaria» conclude Rasi.
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