Salute 10 Gennaio 2022 09:38

Covid e inquinamento. De Gennaro: «I picchi pandemici coincidono con l’aumento di polveri in atmosfera»

Perché il particolato atmosferico veicola il virus? Il professore di chimica dell’Ambiente dell’Università di Bari: «La polverosità favorisce il galleggiamento e il risollevamento in aria del virus precipitato su pavimenti e strade»

Che durante la stagione invernale i virus, quello del Sars-CoV-2 compreso, si propaghino con più facilità è un dato di fatto. E allora perché anche nelle stagioni e nei Paesi caldi si sviluppano frequenti focolai? Una risposta potrebbe essere contenuta nelle ricerche a cui il professore Gianluigi De Gennaro, docente di Chimica dell’Ambiente dell’Università di Bari, si sta dedicando dall’esplosione della pandemia da Covid-19. Il professore, con il team della SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), avrebbe dimostrato che all’aumentare dell’inquinamento atmosferico aumenterebbe anche la diffusione dei virus.

Quando e perché l’inquinamento favorisce i picchi pandemici

 «Le nostre conclusioni – assicura De Gennaro – trovano conferma in numerosi studi internazionali, condotti in Iran, Afghanistan, Pakistan, Cina e Taiwan, aree in cui gli scienziati, già da diversi anni, sono impegnati nell’analisi dell’associazione tra i cambiamenti meteorologici, il trasporto di polveri inquinanti e i picchi epidemici».

Per il professore De Gennaro non è un caso che in pianura Padana si registrino, ad ogni ondata, i numeri più alti di contagi. Così come non considera una coincidenza i focolai estivi che si sviluppano sulle principali isole italiane. «I picchi che si verificano in estate nelle regioni meridionali – in Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, etc. – sono associabili al trasferimento transfrontaliero di sabbie Sahariane. Esattamente come quelli che si manifestano in estate in Spagna e poi, via via, in Francia, Gran Bretagna, sempre in concomitanza con l’arrivo di queste sabbie».

Il particolato atmosferico veicola il virus

Individuata la concomitanza tra aumento dell’inquinamento e la crescita dei contagi da Covid resta da chiarire perché il particolato atmosferico possa favorire la persistenza del virus in atmosfera. «Le particelle di virus emesse da una persona infetta prima si disperdono nell’aria, poi precipitano sulle superfici. In ambienti particolarmente polverosi, come quelli della Pianura Padana, o quelli in cui si verificano gli stagionali trasferimenti transfrontalieri di sabbie Sahariane, tutte le superfici, dagli oggetti, ai pavimenti, alle strade, appaiono più polverose – spiega il docente -. Il virus può essere risollevato in aria con maggiore facilità proprio a causa della polverosità presente».

Soluzione 1: inquinare meno

Ma per il professore De Gennaro la sua non è affatto una “sorprendente scoperta”: «Che la presenza di polveri possa aumentare la diffusione dei virus era già noto ai tempi dell’influenza spagnola, quando a tutti i cittadini veniva costantemente raccomandato di eliminare il più possibile le polveri dalle proprie abitazioni», racconta l’esperto.

E proprio come ai tempi della Spagnola, anche ai tempi del Covid-19, secondo il professore De Gennaro qualche accorgimento in più potrebbe essere d’aiuto al contenimento del contagio. «Innanzitutto, possiamo intervenire sull’inquinamento prodotto dall’uomo durante la stagione invernale. Ripensando alla pianura Padana, ad esempio, in coincidenza con questi eventi meteorologici che confinano al suolo l’inquinamento favorendo l’aumento del particolato atmosferico si potrebbe limitare l’utilizzo degli autoveicoli, le emissioni industriali, mitigare quelle dei riscaldamenti domestici e di tutte quelle attività che aumentano i livelli di inquinanti nell’aria».

Soluzione 2: allert per i cittadini

«Contemporaneamente, la popolazione potrebbe essere messa in guardia con degli allert ed invitata a trascorrere più tempo in casa ed utilizzare la mascherina all’esterno quando si verificano queste condizioni – continua De Gennaro -. Un’abitudine già diffusa nei Paesi orientali, ancor prima che la pandemia da Covid-19 esplodesse. Se siamo in grado di prevedere con un’accurata attendibilità l’aumento delle concentrazioni di particolato atmosferico perché non interveniamo prima che i contagi raggiungano il picco? – chiede il professore -. Ecco, – conclude – credo che oltre a concentrarsi sugli effetti che il virus ha sull’essere umano, dovremmo imparare a conosce meglio anche ciò che avviene fuori dall’organismo, cosa veicola il fenomeno e ne favorisce la diffusione».

 

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