Salute 5 Marzo 2021 14:16

Covid e scenari futuri, l’infettivologo Stefano Vella: «Immunità di gregge? Meglio trovare strategie di convivenza»

«Vaccinare i fragili in via prioritaria. Un altro lockdown nazionale porterebbe al tracollo finanziario, l’Italia non può permetterselo»

Covid e scenari futuri, l’infettivologo Stefano Vella: «Immunità di gregge? Meglio trovare strategie di convivenza»

Un cambio di approccio, mentale prima ancora che pratico, quello che sarebbe auspicabile adottare nei confronti della pandemia da Sars-Cov-2. A un anno esatto dal primo lockdown, dopo una breve quanto illusoria parentesi estiva, il virus continua a non darci tregua, in una guerra senza esclusione di colpi: in riposta ai vaccini il virus affila la sua arma, quella delle varianti. Come difenderci? Come bilanciare le ragioni della salute con quelle economico-sociali in un contesto ‘straordinario’ che inizia a diventare sempre più ordinario? Come iniziare a pensare in termini di convivenza e non più di emergenza? Il nodo non è debellare il virus, quanto neutralizzare il più possibile il suo impatto. Ne abbiamo parlato approfonditamente con Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute Globale all’Università Cattolica di Roma, già direttore del Centro per la Salute Globale all’Istituto Superiore di Sanità.

Era possibile prevedere una terza ondata?

«Le cassandre avevano ragione, ma c’erano pochi dubbi a proposito: già la scorsa estate era evidente che la faccenda non si fosse affatto conclusa. Nonostante un cambio di passo si stia già avvertendo, scontiamo ancora una sorta di peccato originale, cioè il fatto di rincorrere il virus anziché anticiparlo. Fortunatamente però c’è un rinnovato consenso generale sull’importanza di alzare di nuovo la guardia».

Le varianti: quanto ci preoccupano?

«Abbastanza, ma d’altronde, anche qui, sapevamo che sarebbero arrivate: le mutazioni sono una caratteristica tipica di questo tipo di virus. Quella inglese risulta più contagiosa comportando un aumento dei casi e, di conseguenza, delle ospedalizzazioni, ma fortunatamente è sensibile ai vaccini».

Cosa pensa delle polemiche sui vaccini e il loro utilizzo?

«La fornitura è ripresa, ce ne sono anche due nuovi in arrivo, quindi in sostanza non ci sono più scuse: dobbiamo vaccinare il più possibile, e il più veloce possibile per arginare le varianti. Importante: i vaccini funzionano, tutti. Anche Astrazeneca, su cui c’erano più dubbi circa l’efficacia, in Inghilterra ha funzionato benissimo, come è stato dimostrato. E anche la strategia adottata dall’Inghilterra, in cui si è preferito somministrare subito tutte le prime dosi e dilazionare le seconde, sta attualmente funzionando. Ma attenzione: questo tipo di ragionamento può farsi solo con i vaccini a vettore virale, come è Astrazeneca e come sono anche Sputnik e Johnson & Johnson (quest’ultimo prevedrebbe addirittura una sola dose), in cui il richiamo può essere dilazionato. I vaccini a mRNA, come i sieri Pfizer e Moderna, impongono invece il rispetto preciso dei tempi tra prima e seconda dose».

E dell’ipotesi di un nuovo lockdown?

«In linea teorica, come è stato visto anche nei due Paesi che stiamo usando come modello di riferimento per valutare l’impatto delle vaccinazioni, cioè l’Inghilterra e Israele, vaccinare in concomitanza o a ridosso di un lockdown paga. Il problema è che in Italia un altro lockdown duro sarebbe finanziariamente insostenibile: il tracollo totale. Certo, anche trascinarsi in vie di mezzo non può essere risolutivo. Ma ricordiamoci che su questo virus sappiamo ancora relativamente poco. E allora è evidente che navigare a vista è, ad oggi, l’unica cosa che possiamo fare. Attenzione però: navigare a vista significa farsi guidare dai dati con discernimento, non interpretarli a piacimento».

Quali scenari futuri prevede?

«C’è il rischio concreto che questo virus ci accompagnerà per molto tempo. L’immunità di gregge la vedo lontana, in generale con i coronavirus è difficile da raggiungere, ma in questo caso particolare oltre a vaccinare un numero enorme di persone bisognerebbe poi rivaccinarle ogni anno a causa delle varianti, un po’ come accade per l’influenza: uno sforzo immane. Per questo motivo credo che invece che inseguire un’immunità di gregge si debba pensare a svuotare gli ospedali, quindi vaccinare i fragili in via prioritaria. Ritorniamo all’esempio di Inghilterra e Israele: vaccinando a tappeto sono riusciti a svuotare gli ospedali. Trovare modi per aumentare la produzione di dosi di vaccini sarà essenziale, perché al di là delle responsabilità e degli intoppi contrattuali che ci sono stati, produrre dosi di vaccino per gran parte della popolazione mondiale dall’oggi al domani è oggettivamente complicato, a dir poco».

Dobbiamo quindi adottare strategie di convivenza?

«Il virus è tra noi, non ce ne libereremo domani, e neanche dopodomani. Per dirla tutta, la mia sensazione è che dobbiamo attrezzarci per conviverci a tempo indeterminato. Con i vaccini e il mantenimento di alcune misure possiamo raggiungere l’obiettivo più realistico che abbiamo: evitare una catastrofe annuale».

 

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