Alcune testimonianze online confermano disparità e penalizzazioni che scontano le donne impegnate nella sanità, per contrastare il fenomeno un coordinamento ad hoc
Sono migliaia le visualizzazioni del webinar “Il sindacato è anche donna: la leadership Fials si racconta”, lo streaming con le testimonianze delle professioniste sanitarie è online sui canali social del sindacato e da oggi una clip di tre minuti ne rilancia i contenuti.
Le protagoniste fanno il punto della situazione sulle donne impegnate nella pandemia, penalizzate da turni incessanti, sfiancate anche dalla gestione emotiva degli eventi cui assistono. E nonostante tutto, continuano a lottare senza arrendersi mai. Vere e proprie guerriere che non dimenticano quei primi spaventosi momenti, consce di aver dato il massimo e un po’ deluse dal sistema che non riconosce loro nemmeno i sacrosanti servizi come i nidi aziendali, che nel resto d’Europa ci sono.
«Noi donne dobbiamo rimboccarci le maniche per cercare di vivere di luce propria e non riflessa: non è possibile che la donna venga penalizzata dagli stessi benefici che ha ottenuto, tipo la maternità o la gravidanza. Significa che dobbiamo cercare di cambiare le leggi e la nostra cultura. Ancora le aziende non sono strutturate con degli asili nido, quindi dobbiamo cercare di trovare le adeguate soluzioni». Così Agata Consoli, segretario nazionale Fials e provinciale Catania, impegnata nel sindacato da trent’anni.
«Nelle Aziende sanitarie possiamo intravedere delle differenze di genere mascherate – avverte Mimma Sternativo, segretario provinciale Fials Milano – quando si valuta la disponibilità delle lavoratrici. Tutto avviene nonostante siano le donne, stando ai dati di alcuni studi, quelle che intraprendono percorsi universitari con maggior successo e superando nei voti gli stessi uomini”. Sul merito nessun dubbio, ma le carriere rimangono al palo e nella categoria infermieristica, composta per il 77% da donne, ad andare avanti per la maggior parte sono uomini.
Incredibile a dirsi, le percentuali si ribaltano se consideriamo i ruoli apicali. «É arrivato il momento di capire che le donne valgono a prescindere dal fatto di essere donne – sottolinea la sindacalista – non può essere una menomazione nel 2021 ed è giusto prenderci assolutamente i nostri spazi». «Per questo nasce l’idea di un coordinamento donne Fials – annuncia Elena Marrazzi, consigliere nazionale Fials e madrina del progetto – che sarà uno spazio di discussione, di presa di coscienza, di messa a punto delle rivendicazioni e di confronto tra generazioni e culture diverse».
Il sindacato conta tra le sue fila tante donne, tutte con esperienza di vita e professionali diverse. Per ascoltare la loro storia, ha preso avvio il ciclo di incontri ‘Donne & sindacato’. «Il 2020 ha acceso fortemente i riflettori sulla nostra professione, ha mostrato al mondo chi è e cosa fa un infermiere dando la possibilità a chi non lavora in ospedale di saggiare un pezzo di quello che è la nostra vita quotidiana – racconta Titti de Simone, infermiera Fials Milano – fatta di giorni, notti e di turni anche festivi. Ho condiviso con tutti i colleghi una prima fase di grandissima paura e poi, come gruppo professionale, ci siamo sentiti molto uniti».
«C’erano telefonate con i colleghi degli altri ospedali e in questo l’attività sindacale mi ha aiutato perché mi sentivo di supporto agli altri». Durante la pandemia sono accadute cose che oggi sembrano lontane e nessuno vuole ripercorrere. Ma la rimozione collettiva non spazzerà via i segni indelebili nell’animo delle professioniste sanitarie. Cicatrici destinate nolenti o volenti a rimanere, a costituire patrimonio della memoria collettiva, che prima o poi andrà affrontata. Intanto loro pensano all’autocura, a fare gruppo, a difendersi dal logorante stress da sindrome post traumatica.
In alcuni messaggi durante il live qualcuno scrive: “Grazie per quello che avete fatto e che continuate a fare”. E un altro: “Occorrono asili nido”. Non chiedono molto, solo di riuscire a dormire quando rientrano dopo le notti e invece la dad dei figli le tiene sveglie. Ora almeno li hanno a casa, mentre prima la sindrome dell’untore le ha portate ad allontanarsi dalla famiglia nel timore di trasmettere la malattia nei giorni bui di un anno fa. Adesso la paura viene meno e sperano che tutto finisca. Dal mondo, parole d’amore e gesti di stima e rispetto. Per poi essere dimenticate.
In questo ultimo anno di pandemia il 99% dei posti di lavoro persi appartenevano a donne. Negli occhi delle testimoni si legge la sofferenza che hanno visto e le vite che se ne sono andate. I ricordi dei tanti pazienti e le storie che rimangono nella mente per sempre. Il webinar finisce con le parole di Agata, che chiosa: «Quello che è stato detto è verità, io ho lavorato H24 cercando di dare il massimo a tutti coloro i quali erano totalmente abbandonati».
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