L’ex infettivologo dell’Ospedale Sacco a Sanità Informazione spiega che occorre cambiare la gestione dei fragili e investire sulla prevenzione. Possibili nuove varianti in autunno
Il Covid fa meno paura, ma è ancora vivo. Massimo Galli, infettivologo ex primario presso l’ospedale Sacco di Milano ai microfoni di Sanità Informazione fa il punto sulla pandemia: «La situazione è cambiata – ammette – per alcuni elementi favorevoli: 50 milioni di italiani hanno almeno due dosi di vaccino, 30 milioni si sono infettati e sono sopravvissuti. Quindi imbricando i due dati, la copertura immunitaria è tale da ridimensionare in maniera decisiva la possibilità che questo virus possa dare ancora un numero enorme di malati e casi di morte».
«D’altro canto, è vero che nel nostro Paese ci sono ancora tantissimi bambini non immunizzati che sono un veicolo di circolazione del virus così come le persone non vaccinate – spiega Galli -. Queste possono essere soggette a forme gravi di malattia, soprattutto se anziane. Ci sono poi persone che, pur essendo vaccinate, non hanno sviluppato gli anticorpi e quindi sono senza risposta immunitaria soddisfacente». L’elemento critico rimane però sempre la variante e, al riguardo, l’infettivologo precisa: «Se dovessero svilupparsi nuove forme di Covid, potrebbero provocare una ondata di infezione anche nei Paesi più vaccinati e dunque più protetti come l’Italia. Difficilmente però, in una situazione come la nostra, il Covid potrebbe creare ancora un impatto grave».
Nonostante i vaccini, dunque, le varianti potrebbero causare un’ondata autunnale, ma senza grosse conseguenze in termini di ospedalizzati e numero di morti perché – secondo Galli – il Covid dovrebbe diventare un virus da raffreddore. «Se vogliamo perdere interesse per questo virus, dobbiamo invece rimanere concentrati sul fenomeno che potrebbe preludere, per come si è verificata ed è emersa la pandemia, ad esperienze simili in futuro. Bisogna fare tesoro di questa brutta esperienza per attrezzarci in maniera più efficiente rispetto a quanto fatto fino ad ora – puntualizza -. Il virus continua ad evolvere sotto la pressione dei sistemi immunitari delle persone, e continua a mutare in forme che hanno una marcia in più rispetto alle precedenti, ma non nel causare morti o o malattie gravi. Il punto è non trovarsi impreparati un’altra volta».
Nel tempo sono stati commessi molti errori che l’ex infettivologo del Sacco imputa ad una errata organizzazione. «Siamo un Paese con 20 centri decisionali regionali, mentre manca un sistema centrale efficiente – fa notare Galli -. È vero che l’Italia in occidente ha dovuto affrontare per prima la pandemia, ma resta il fatto che molte decisioni non sono state prese e molte situazioni avrebbero dovuto essere gestite diversamente. Oltre al fatto che la medicina territoriale è del tutto insufficiente, ancora oggi».
Paghiamo, ha lasciato intendere Galli, decenni di tagli a sanità, scuola e ricerca con drammatiche conseguenze per medicina del territorio e prevenzione, vera e propria cenerentola del sistema. «Siamo un paese di vecchi, in cui i baby boomers nati dopo la seconda guerra mondiale e prima del boom economico oggi gravano sul sistema sanitario nazionale. Un sistema fondato sugli ospedali per acuti che certamente non può reggere questo impatto. Occorre intervenire e per farlo è indispensabile rivedere la gestione territoriale della sanità per far fronte alla cronicità e al bisogno di assistenza degli anziani, oltre che alla prevenzione».
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