In Israele e Serbia il richiamo è già realtà. Contraria la rivista Nature che si è fatta promotrice di un appello per fermare la somministrazione della terza dose di vaccino prima di dati solidi. Per Massimo Galli «è una fuga in avanti», mentre per Fabrizio Pregliasco «serve un rinforzo della protezione per tutti»
La lunga battaglia contro il Covid sembra lontana dalla conclusione. L’arrivo dei vaccini alla fine del 2020 aveva fatto sperare in una rapida uscita dalla pandemia, ma i fatti per ora dicono che nonostante un numero di immunizzati sempre più grande i contagi a livello globale non si fermano: dal Giappone agli USA, dalla Corea del Sud alla Nuova Zelanda, il Sars-Cov-2 sembra riuscire sempre a trovare il modo di rialzare la testa. Nel mondo sono stati registrati oltre 4,4 milioni di nuove segnalazioni solo nell’ultima settimana, che portano il totale dall’inizio dell’epidemia a 206 milioni di casi. Anche per questo esperti e scienziati di tutto il mondo si interrogano sull’opportunità di somministrare una terza dose di vaccino, soprattutto in quei paesi dove il primo ciclo è stato già completato da una vasta fascia della popolazione.
A muoversi per prime sono state le case farmaceutiche Pfizer e BioNTech che hanno annunciato di aver presentato all’agenzia statunitense Food and Drug Administration (FDA) i dati iniziali della loro sperimentazione a supporto della valutazione della terza dose di vaccino anti-Covid per una futura autorizzazione di questo richiamo in persone dai 16 anni in su. I primi dati mostrano un livello di anticorpi neutralizzanti “significativamente” più alto contro il virus Sars-Cov-2 iniziale e le varianti Beta e Delta in chi ha ricevuto un ulteriore richiamo, rispetto ai livelli osservati dopo due dosi.
Anche il governo italiano starebbe pensando a tre fasi per somministrare la terza dose, partendo dalle categorie più a rischio: da ottobre si potrebbe iniziare con i soggetti immunodepressi gravi ed i malati oncologici guariti da almeno sei mesi, prima di Natale potrebbe toccare al personale sanitario, ed a gennaio alle forze dell’ordine, agli over 80 e ai fragili. Per il momento però nulla è stato ancora deciso.
In Israele, dove si è recentemente registrato un nuovo balzo nei contagi con 8.646 nuovi casi positivi giornalieri (il dato più alto dalla fine di gennaio) è partita una campagna per somministrare una terza dose di vaccino a ultra cinquantenni, persone fragili e personale sanitario. Finora la terza dose ha riguardato un milione di persone. Su 9,3 milioni di abitanti, nello stato ebraico oltre il 58% ha ricevuto almeno due dosi di vaccino.
Il 17 agosto è partita la somministrazione della terza dose di vaccino contro il Covid-19 anche in Serbia. Una volta trascorsi 180 giorni dalla ricezione della seconda dose tutti i cittadini vaccinati potranno ricevere la terza. Dall’inizio dell’epidemia sono 733.332 le persone contagiate dal coronavirus in Serbia mentre sono 7.174 le vittime accertate.
Infine gli Stati Uniti, dove i casi e le ospedalizzazioni stanno di nuovo aumentando. La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha annunciato che i residenti negli USA potranno farsi un terzo vaccino a otto mesi dalla seconda dose di Pfizer o Moderna. Si partirà, dopo l’autorizzazione da parte dell’FDA che dovrà valutare sicurezza ed efficacia del richiamo, il 20 settembre da immunocompromessi e anziani per arrivare a tutti i cittadini.
Dal settembre anche Germania, Francia e Gran Bretagna offriranno il richiamo a pazienti fragili, ospiti delle Rsa e personale sanitario.
L’opportunità della terza dose sembra dividere gli esperti italiani. A insinuare dei dubbi è stata anche la rivista “Nature” che ha rilanciato l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la sospensione delle terze dosi di vaccino anti-Covid, sottolineando come l’efficacia del richiamo non sia stata ancora provata. «In un periodo di relativa scarsità dei vaccini, la decisione di somministrare le terze dosi deve essere guidata da un’attenta analisi dei costi-benefici, compreso il rischio di ritardare la somministrazione di dosi invece necessarie in altri Paesi maggiormente vulnerabili» si legge sulla prestigiosa rivista.
A supportare l’ipotesi è stato il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, che in una intervista a Il Mattino ha spiegato che «il richiamo deve esser fatto quando la protezione vaccinale diminuisce. Oggi il dibattito è aperto e si sta valutando la copertura immunitaria: se necessario sarà quindi definita una terza dose. Ad oggi non ci sono ancora elementi certi ma il consenso nella comunità scientifica riguarda invece il richiamo necessario per le persone immunodepresse, che hanno un sistema immunitario più fragile».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’immunologo Fabrizio Pregliasco, docente dell’Università Statale di Milano, che si è lanciato anche in una previsione: «È ipotizzabile che da noi le terze dosi si facciano tra ottobre e novembre. Credo che ora sia da fare la vaccinazione per tutti, anche per i bambini, e che ci sia anche la necessità di un rinforzo della protezione per tutti. Poi nel prossimo futuro, se noi lavoriamo bene adesso potremo magari non prevedere un richiamo tutti gli anni nei prossimi anni».
Sul tema è intervenuto sul Corriere della Sera di questa mattina Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Prevenzione del ministero della Salute: «Sulla terza dose, per ora – ha scritto – conviene astenersi dal solito dibattito fra pro e contro, iniziando a programmare gli eventuali richiami, da effettuare in maniera graduale, sulla base delle necessità e delle evidenze scientifiche».
Più scettico invece Massimo Galli, docente di Malattie infettive all’Università Statale e primario al Sacco di Milano, che all’Adnkronos Salute lancia seri dubbi sulla necessità della terza dose: «Per il momento non ho ancora abbastanza elementi per poter prendere una posizione a favore. E mi sembra una fuga in avanti, un modo per giustificare anche quello che ancora non sappiamo sui tempi di copertura dopo la seconda dose. Correre in avanti, facendo un’altra dose, non so quanto vantaggio porti a chi risponde bene al vaccino. E, soprattutto, a quanto serva realmente a chi risponde male o affatto. Questi ultimi se non hanno avuto una buona risposta a due dosi non è detto che possano rispondere bene a una terza».
Ragionamento analogo quello di Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani, che in un video pubblicato su Facebook parla di ragionamento «fuorviante» in questo momento.
Infine, anche Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, frena sull’ipotesi terza dose: «Non va proposta come una dose per tutti. Sarebbe un errore perché c’è chi non ne ha assolutamente bisogno. Non può essere che a otto mesi la facciamo a tutti indistintamente. Io sono assolutamente contrario» spiega all’Adkronos Salute. E poi aggiunge: «Negli Stati Uniti si parla di una terza dose tra 6 e 12 mesi, ma un conto è a 6 mesi e un conto è a 12. A un anno di distanza siamo tutti d’accordo che probabilmente buona parte di noi dovrà fare la terza dose, che poi è quella di richiamo che si fa una volta all’anno. Discorso diverso invece per quelli in cui, anche prima dei 6 mesi, potrebbe essere necessario fare la terza dose».
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