Superare le difficoltà organizzative e migliorare l’accesso alla somministrazione. Si va verso una gestione domiciliare, protagonista la medicina generale: «Aggiornamento continuo essenziale per i medici di famiglia»
La pandemia di Sars-CoV-2 ha sicuramente scardinato, nel corso degli ultimi due anni, numerose certezze e dogmi della medicina. Uno fra tutti, il tradizionale asset temporale che da sempre contraddistingue la lotta tra uomini e virus con vittoria dei primi, vale a dire: scoppio dell’emergenza, ricerca di farmaci e cure e, in ultimo, vaccino “salvatutti”. Nel caso del Covid-19, come ben sappiamo, l’arma dei vaccini, complice il progresso scientifico e tecnologico, è giunta a noi, con il suo solido bagaglio di approvazioni su sicurezza ed efficacia, quando sul fronte terapeutico si brancolava, fondamentalmente, ancora nel buio.
Il “miracolo” dei vaccini antiCovid è innegabile, tuttavia il rovescio della medaglia è che la loro efficacia e disponibilità non ha costituito un incentivo ad accelerare sulle opzioni terapeutiche che, ricordiamo, non costituiscono una alternativa ai vaccini, ma una ulteriore e preziosissima arma contro il virus. Le cure oggi ci sono, ma come spesso accade in materia sanitaria, sulla filiera di accesso e somministrazione l’Italia si (ri)scopre divisa in 21 sistemi sanitari diversi. A fare il punto sullo stato dell’arte delle terapie antiCovid-19, e a stimolare una riflessione su quanto ci sia ancora da fare per implementarne l’andata a regime, ci ha pensato l’Associazione Dossetti – I Valori, attraverso un webinar che ha radunato un ricco panel di esperti del panorama sanitario italiano.
Il primo fattore da tenere in considerazione nella somministrazione delle terapie antCovid-19 è il tempo, inteso sia a livello clinico che organizzativo, come ha sottolineato Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive al Policlinico di Genova: «In una prima fase con altissima carica virale dobbiamo agire con antivirali, orali o endovenosi, o monoclonali, mentre nelle fasi successive caratterizzate dalla cosiddetta cascata infiammatoria, che è quella che porta al ricovero in terapia intensiva, con cortisone e antinfiammatori. Nel 2020 brancolavamo nel buio, con possibilità terapeutiche limitatissime. Oggi abbiamo numerosi farmaci a disposizione, e abbiamo visto che chi viene trattato nei tempi giusti ha ridottissime probabilità di aggravarsi e di necessitare ossigeno. Il problema è che spesso questi farmaci non vengono sfruttati a pieno per disorganizzazioni a livello regionale, mentre non devono esistere lungaggini burocratiche. Se il sistema è ben rodato infatti, come in regione Liguria, le terapie non trovano intoppi. Noi siamo andati direttamente nelle RSA con i monoclonali».
Fattore tempo cruciale anche sulle approvazioni, come sottolinea Marco Cavaleri (Vaccines Strategy di EMA): «In Europa non abbiamo possibilità di dare autorizzazioni di emergenza come fa la FDA statunitense, ma possiamo farlo per ogni singolo Paese. Molti nuovi monoclonali sono attivi contro Omicron, il punto è avere il più velocemente possibile le evidenze cliniche per consentirci di emettere le approvazioni necessarie». Anche Toti Amato, presidente OMCeO Palermo e componente direttivo FNOMCeO, si esprime sulle problematiche organizzative: «La filiera dei monoclonali ha talvolta delle falle e impedisce a tutti i candidati di essere effettivamente curati con questa terapia. E’ una criticità su cui si deve intervenire. Abbiamo ancora un SSN a silos, quando il sistema dovrebbe essere unico per consentire dialogo tra le Regioni. Le terapie si devono basare su una filiera, anche di mezzi informatici, valida e solida a livello nazionale, che abbia dei passaggi semplici per garantire uniformità di trattamento su tutto il territorio».
Complici i vaccini e la prevalenza di varianti meno aggressive, il Covid-19 si appresta ad essere trattato sempre più in via domiciliare, con un ruolo di primo piano dei medici di famiglia nella corretta gestione dei casi. «Il 31 marzo cesserà lo stato di emergenza – commenta la senatrice Paola Binetti – e, presumibilmente, passeremo ad un modello terapeutico più classico, simile a quelli cui siamo abituati. Il fattore chiave sarà la medicina di base, perno attorno a cui ruota il carico e la gestione per orientare correttamente la terapia, che passa in primis attraverso una diagnosi precoce».
Le fa eco la senatrice Maria Rizzotti: «La terapia domiciliare è stata una grande assente in questa pandemia, assenza dovuta anche alla mancanza di comunicazione e informazione adeguata ai medici di famiglia, non sempre aggiornati sulle linee guida più avanzate. I medici non devono aver più paura di muoversi nell’ambito delle terapie domiciliari, se così fosse stato ci saremmo risparmiati molti ricoveri. Ma la formazione e l’informazione sono necessarie».
E a proposito di terapie domiciliari, l’intervento di Ignazio Grattagliano, direttivo nazionale SIMG: «Oggi sappiamo che gli antivirali per via orale possono essere gestiti a domicilio. L’importante è affidare questi farmaci a pazienti “complianti”, che assicurino l’aderenza al trattamento: per intenderci, non si deve verificare ciò che accade con gli antibiotici, che spesso vengono smessi alla fine dei sintomi ma non alla fine del trattamento.
È fondamentale che il medico possa monitorare questi processi». Una domanda chiude l’incontro: tutto questo, basta contro il Covid-19? A rispondere è Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma: «Ce lo stiamo facendo bastare, ma sappiamo che non sarà sufficiente. Dovremo giungere a due ulteriori risultati per ritenerci al sicuro: superare la questione del brevetto e vaccinare i paesi del Terzo Mondo, una questione non solo di etica ma di sanità pubblica. E poi dobbiamo arrivare a un vaccino che ci protegga almeno per un anno».
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