Intervista all’assessore alla Sanità della Regione Luigi Genesio Icardi
Combattere il Covid alla comparsa dei primi sintomi per vincere sul tempo il virus e non stressare il sistema sanitario ospedaliero. Con questo obiettivo Regione Piemonte ha messo a punto un protocollo di cure che prevede idrossiclorochina, vitamina D e antinfiammatori, destinato a medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Ideato durante la prima ondata pandemica, il protocollo, che conta sull’apporto fondamentale delle Usca sette giorni su sette dalle 8 alle 20, sta dando risultati incoraggianti, come spiega l’assessore alla Sanità di Regione Piemonte Luigi Genesio Icardi. Ma il protocollo nei giorni scorsi è stato al centro di aspre polemiche, soprattutto in merito alla possibilità di prescrivere l’idrossiclorochina, sconsigliata dall’Aifa, dall’americana Fda e dall’Oms in quanto, secondo numerosi studi scientifici, ritenuta non solo inutile alla lotta al Covid, ma anche potenzialmente pericolosa.
«È un protocollo molto dettagliato, che prevede le cure precoci a domicilio: una parte farmacologica e una operativa. Il che significa non un’attesa vigile del decorso della malattia prescrivendo solo paracetamolo, ma prendendo in carico i pazienti a domicilio. Per questo già lo scorso anno siamo stati tra i primi a siglare un protocollo con Asl, prefetture, medici di medicina generale e pediatri di libera per evitare di arrivare all’ospedalizzazione del paziente, cercando di battere sul tempo il virus».
«Nel protocollo di aprile scorso, ad un mese dall’inizio della pandemia, c’era già l’idrossiclorochina, poi è stata tolta per il divieto di Aifa. Successivamente è stata reinserita, dopo le vicende giudiziarie, con tutte le garanzie del caso: dal consenso informato, all’obbligo del medico di spiegare al paziente una serie di effetti legati all’idrossiclorochina prima di utilizzarla».
«Il ruolo delle Usca è fondamentale perché permette di effettuare un controllo costante sui pazienti attraverso visite mediche, esami del sangue, delle urine, elettrocardiogramma, ecografia, tampone naso faringeo per test molecolari e antigenici e saturazione del sangue. È previsto anche un servizio psicologico svolto da remoto con la telemedicina attraverso colloqui in videochiamata con il paziente e i famigliari».
«Abbiamo tanti medici che ne hanno fatto uso in particolare in due distretti: l’alessandrino e il novarese con dei risultati incoraggianti. L’ospedale più grande del Piemonte, Le Molinette di Torino, inoltre, ha catalogato in un registro oltre 1600 casi, con una evidenza importante: a seguito di una minore ospedalizzazione c’è una riduzione del tasso di mortalità. Sulla base di questi dati, e sulla base degli studi e dei riscontri avuti nei Paesi che ne fanno uso, abbiamo perciò lasciato al medico la facoltà di agire secondo scienza e coscienza, valutando il singolo caso specifico e la sua capacità di curare».
«Credo che il compito di un decisore politico sia quello di mettere a disposizione dei cittadini tutti gli strumenti utili e possibili per combattere la malattia, poi sta al singolo medico decidere se farne uso. Non è un obbligo, è una facoltà, ma noi abbiamo voluto dare tutte le regole per poter utilizzare al meglio il protocollo. E da una prima analisi si vede che dove si applica e si riesce, con medici di base e distretti, a curare le persone a casa, il sistema ospedaliero è meno sotto pressione, il che significa non dover convertire i reparti in Covid e continuare ad erogare le cure necessarie in altre patologie».
«Nei giorni scorsi alcuni colleghi mi hanno contattato per avere informazioni e conoscere più nel dettaglio il protocollo. Non ho avuto alcun problema ad inviare loro le linee guida per l’applicazione. Nei prossimi mesi vedremo le risposte che avranno».
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