Salute 29 Gennaio 2023 12:08

Covid latente, quando il virus è fatale ma sfugge al tampone

Uno studio spiega il perché delle polmoniti fatali anche a distanza di mesi dalla negativizzazione. Vancheri (SIP): «Importante tassello che dimostra un limite nella diagnostica attuale»

Covid latente, quando il virus è fatale ma sfugge al tampone

Ex pazienti Covid-19, ormai negativi da mesi al tampone molecolare, e tuttavia affetti da una polmonite potenzialmente letale, sovrapponibile a a quella associata all’infezione acuta da Sars-CoV-2. Un recente studio condotto dall’Università di Trieste, dal King’s College of London e dall’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb) triestino, pubblicato sul ‘Journal of Pathology’, ha indagato su questi casi. I dati emersi hanno evidenziato nei pazienti deceduti l’assenza del virus nell’epitelio respiratorio, coerentemente con la negatività del tampone, ma la sua presenza a livello ghiandolare e cartilagineo bronchiale.

Una sorta di nascondiglio, usato dal virus per sfuggire alla rilevazione del tampone continuando la sua azione dannosa nei confronti dell’organismo. Sui dati dello studio e sulle informazioni che aggiunge a quelle in nostro possesso sul virus, abbiamo chiesto un commento a Carlo Vancheri, professore ordinario di Malattie Respiratorie presso l’Università di Catania e presidente della Società Italiana di Pneumologia (SIP).

Ricapitolando, cosa ci dice questo studio?

«I dati pubblicati, che devono essere ovviamente validati, ci dicono che in pazienti che hanno avuto il Covid, con una situazione polmonare compromessa e aggravatasi nel tempo nonostante la negativizzazione, tanto da condurli al decesso, l’autopsia ha riscontrato la persistenza del virus a livello dei condrociti, le cellule facenti parte delle cartilagini bronchiali, e delle ghiandole bronchiali. In generale molto spesso i virus, a seguito della fase acuta dell’infezione, si vanno ad annidare nelle cellule del nostro organismo. Tuttavia, con i dati ad oggi disponibili, non è possibile dimostrare in maniera univoca che la presenza del virus abbia causato un certo decorso».

Insomma la persistenza del virus potrebbe non essere l’unica responsabile dell’esito fatale?

«Può darsi che i pazienti avessero sviluppato una malattia particolarmente grave o fossero già predisposti ad una grave progressione della stessa. In secondo luogo non abbiamo una controprova: non sappiamo se nei pazienti che sono guariti senza conseguenze il virus non continui comunque ad essere annidato nei polmoni. Su di loro, ovviamente, nessuna autopsia è stata effettuata. E poi dobbiamo considerare che lo studio è stato condotto su un numero di pazienti non particolarmente elevato. In sintesi, questo studio aggiunge un tassello importante alle informazioni che abbiamo sul virus, e la sua novità sta nel fatto di aver dimostrato che anche in soggetti che sono negativi al tampone, questa negatività potrebbe non essere reale in quanto il virus va ad annidarsi in queste cellule, non venendo debellato ma semplicemente non più rilevabile attraverso i mezzi diagnostici che abbiamo oggi a disposizione».

Come gestire gli strascichi delle eventuali polmoniti “latenti” da Covid-19?

«Sicuramente in una quota parte di pazienti che hanno avuto un coinvolgimento polmonare durante l’infezione da Covid restano dei reliquati, delle cicatrici e delle zone di fibrosi. In qualche caso, anche in assenza di sintomi severi durante il Covid, durante un approfondimento pneumologico con radiografia o TAC toracica ci si accorge di residui di polmoniti non diagnosticate. In questi casi lo pneumologo potrà approfondire la situazione tramite esami della funzione respiratoria, per pianificare una riabilitazione attraverso esercizi che migliorino la funzione polmonare».

 

 

 

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