L’oncologo famoso in tutto il mondo per le sue cure anti Covid a domicilio spiega: «Estate tranquilla ma ora qualcosa è cambiato». Presto sarà pubblicato uno studio sulla sua metodologia di cura, e appoggia la candidatura del corpo sanitario italiano al Nobel per la Pace
Insieme alla sua equipe ha combattuto il Covid casa per casa e il suo modello di cure a domicilio è diventato famoso in tutto il mondo facendogli guadagnare la copertina del Time e intere pagine su Le Monde. Ora però anche l’oncologo piacentino Luigi Cavanna guarda con preoccupazione ai prossimi mesi. E non per un semplice presagio negativo, ma l’aumento dei casi più severi dopo mesi di relativa tranquillità non lascia immaginare niente di buono. E anche perché è stata messa da parte una delle armi secondo lui più efficaci, l’idrossiclorochina, su cui la comunità scientifica si è divisa.
«Fino a pochi giorni fa ero un po’ più ottimista perché da giugno eravamo stati chiamati sul territorio per persone positive al tampone ma paucisintomatiche o asintomatiche. Avevamo un’impressione suffragata dai pazienti che vedevamo: ora è cambiato qualcosa – spiega Cavanna -. Più recentemente abbiamo avuto due o tre pazienti ricoverati in ospedale ed erano due-tre mesi che non ce n’erano. Credo che lo sforzo che dovremmo fare come Paese è di spiegare ai giovani come si trasmette questo virus. Dedicare un po’ di tempo all’informazione per fargli acquisire delle conoscenze. Gli va spiegato senza vietare una cosa o l’altra. L’informazione è fondamentale per avere più coscienza in tutti gli strati della popolazione. Questo favorirà il contenimento».
La grande delusione di Cavanna è quella sull’idrossiclorochina. Lui l’ha usata sui suoi pazienti con ottimi risultati, dato che nessuno è deceduto. Poi lo studio apparso sul Lancet, ritirato quasi subito, ha gettato un velo di discredito su questo vecchio farmaco che però in alcuni paesi, come la Cina, viene ancora considerato un efficace alleato contro il Covid-19 e inserito nelle Linee guida.
«Nello studio apparso sul Lancet veniva affermato che l’idrossiclorochina era detrimentale per i pazienti, poi è stato ritirato ma il danno ormai l’aveva fatto – commenta Cavanna -. Questo ha creato un disorientamento anche nell’ambito degli enti regolatori, dall’OMS fino ai singoli paesi come Italia e Francia che hanno messo, non dico un veto, ma un serio alert sul farmaco. Per fortuna questo stop è arrivato quando oramai eravamo fuori dalla tragedia dei mesi di marzo, aprile, maggio».
Ora però sembra che i nuovi studi stiano riabilitando l’idrossiclorochina: «Stanno uscendo per fortuna diversi lavori fatti nel mondo reale, non studi randomizzati, ma studi su dati del territorio e dall’ospedale in cui l’idrossiclorochina è sicuramente riabilitata. Parlo di idrossiclorochina non perché mi sia simpatica a priori, non è un giudizio sentimentale il mio, ma perché è di facile somministrazione precoce a domicilio. Non possiamo permetterci di fare anticorpi monoclonali a domicilio precocemente, in quel caso i malati andrebbero tutti ospedalizzati. Con dieci studi randomizzati fatti con tutti i crismi ci vorrebbero anni per avere i risultati. Ma se abbiamo una impressione e dei dati clinici a favore del funzionamento dobbiamo poter utilizzare questi farmaci. Nella pratica clinica usiamo tutti i giorni tanti farmaci su cui non c’è uno studio clinico randomizzato che ne dimostri l’efficacia. Mi fa un po’ specie che si stiano aprendo tante problematiche sull’idrossiclorochina quando somministrata per sette giorni ad un dosaggio adeguato ha sicuramente salvato tante persone».
A supporto delle tesi di Cavanna sono arrivate anche le dichiarazioni di Harvey Risch, ricercatore alla Yale School of Public Health del New Haven che sottolinea l’urgente bisogno di trattamenti semplici, per bocca, a domicilio e contesta l’utilità, in questa fase straordinaria, di studi randomizzati.
«Non usare l’idrossiclorochina in autunno potrebbe essere pericoloso – spiega Cavanna -. Noi abbiamo seguito circa 300 pazienti che ancora oggi tornano per i controlli. Dopo pochi giorni di idrossiclorochina stavano meglio. Stiamo ultimando il lavoro sui primi 100 casi seguiti a domicilio ed emerge che più precocemente viene somministrato questo farmaco più si hanno risultati favorevoli. Capirei se un farmaco ha tanti effetti collaterali o può essere davvero detrimentale per i pazienti. Ma per un periodo così breve come sono sette giorni non è così. Ora si usa molto il Remdesivir che però è un farmaco che deve essere iniettato per via venosa, quindi per forza di cose il paziente deve accedere all’ospedale o deve essere ricoverato. Per l’autunno, in attesa del vaccino, sarebbe bene avere a disposizione dei farmaci semplici da somministrare precocemente a domicilio».
Per Cavanna un aiuto importante potrebbe arrivare dai vaccini, sia quello antinfluenzale che quello contro la polmonite da pneumococco. «Dai nostri studi emerge un dato, da analizzare su numeri più grandi, molto interessante: sui pazienti che abbiamo trattato a domicilio abbiamo l’impressione che chi ha fatto il vaccino per l’influenza abbia qualcosa che migliori la prognosi. È possibile che anche lo stimolo anticorpale abbia una cross reazione con altri virus. Il vaccino per l’influenza è fondamentale».
Ora il Direttore di Dipartimento Oncologia-Ematologia Azienda USL di Piacenza sta lavorando a uno studio da pubblicare su una prestigiosa rivista basato sui dati raccolti sui suoi pazienti: «La caratteristica che ha avuto il nostro modello è quella di andare a casa dei pazienti non solo per fare il tampone o altri esami ma anche per fare l’ecografia del torace in modo da stilare una diagnosi di polmonite e iniziare subito il trattamento. Su questo non ho trovato altri esempi in letteratura. Emerge che i pazienti più precocemente iniziano la cura e migliore è la prognosi. Comunque, anche i pazienti con polmoniti severe che l’hanno iniziata tardivamente, dopo i 7 giorni di sintomi, non sono morti, non è morto nessuno. Abbiamo usato l’ecografia perché a casa, non potendo fare la tac o l’RX torace, rappresenta un mezzo diagnostico semplice che permette di vedere se c’è un focolaio bilaterale o monolaterale. L’ecografia è oramai accettata anche dalla comunità scientifica come mezzo diagnostico per la polmonite».
L’oncologo piacentino è anche tra i testimonial dell’iniziativa per conferire al Corpo sanitario italiano il Premio Nobel per la Pace che vede tra i promotori la Fondazione Gorbachev Italian Branch, l’Associazione Nazionale Alpini, la Diocesi di Piacenza e Bobbio, la Banca di Piacenza, la Fondazione di Piacenza e Vigevano e altre istituzioni culturali e artistiche.
«In realtà andrebbe dato ai sanitari di tutto il mondo – commenta Cavanna -. L’Italia però è stato il primo paese occidentale ad essere colpito dal virus. L’impegno dei sanitari e di tutte le persone che hanno dato una mano, come i volontari della Croce Rossa e gli esponenti di tutte le professioni sanitarie come i Tecnici di laboratorio o gli psicologi, è stato fondamentale. La partecipazione e l’abnegazione con cui tutti hanno dato il loro contributo per combattere il Covid merita un riconoscimento di questo tipo» conclude.