Si stima che, a livello mondiale, una percentuale tra il 10% e il 25% delle degli individui che hanno avuto il Covid, sperimenti sintomi fastidiosi anche a distanza di 4-5 settimane dalla risoluzione dell’infezione
Stanchezza persistente, disturbi dell’attenzione (la cosiddetta ‘brain fog’), cefalea persistente, disturbi di gusto e olfatto. Sono questi i principali sintomi che possono persistere nelle persone che contraggono il Covid-19, anche a distanza di 4-5 settimane dalla risoluzione dell’infezione. Si stima che questa condizione riguardi, a livello mondiale, una percentuale tra il 10% e il 25% degli individui che hanno avuto il Covid. A questi sintomi, più comuni, si aggiungono anche tosse persistente, disturbi d’ansia, del ritmo cardiaco e problemi di equilibrio. Su quest’ultimo, in particolare, potrebbero arrivare novità importanti da uno studio internazionale a cui partecipa l’italiana Arianna Di Stadio, che lavora sul progetto di ricerca con la Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma ed è docente all’Università di Catania e ricercatrice all’Ucl Queen Square Neurology di Londra(Gb).
“Stiamo studiando gli effetti della neuroinfiammazione sui disturbi dell’equilibrio nel post Covid e stiamo conducendo uno studio internazionale che sta coinvolgendo Italia, Regno Unito e Usa per capire come l’infezione da Covid-19 possa essere responsabile dei disturbi cronici dell’equilibrio, in particolare della ‘Postural Persistent Perceptual Dizziness’ (Pppd) – spiega Di Stadio -. Con questo termine, semplificato in ‘3PD’, definiamo una condizione di disturbo dell’equilibrio persistente generalmente negativo a tutti i test diagnostici dell’equilibrio, che induce sensazione di instabilità nel paziente con un’importante limitazione della normale attività quotidiana. Il disturbo è legato ad un deficit di compenso centrale dopo uno o più episodi di vertigini, in genere vertigini parossistiche benigne (quelle causate dallo spostamento anomalo degli otoliti)”.
“Attualmente – riporta la neuroscienziata – i dati preliminari estratti da 17 pazienti dimostrano che in due di loro (11,8%) l’infezione da Covid-19 ha causato la Pppd, mentre in sei casi (35,3%) l’infezione ha peggiorato i sintomi. Si può quindi ipotizzare che in otto dei 17 pazienti osservati (47%) l’infezione ha un ruolo su questa condizione. Se consideriamo questo disturbo dell’equilibrio tra i disturbi del Long Covid, questi dati, seppur preliminari, identificano un 11% della Pppd legata all’infezione da Sars-CoV2, percentuale che è in linea con i dati relativi al Long Covid”.
“L’origine della mancanza di compenso in seguito alla vertigine è oggetto di ampio studio e la neuroinfiammazione è certamente implicata nel processo di non recupero – aggiunge Di Stadio -. I risultati preliminari dello studio multicentrico che stiamo conducendo, che in Italia vede capofila il Santa Lucia Irccs di Roma (ospedale che ha vinto recentemente un Pnrr con un progetto sulla Pppd) dimostrano che la neuroriabilitazione può aiutare a risolvere il problema, ancor meglio se associata a una molecola anti neuroinfiammazione. Poiché abbiamo esperienza nell’utilizzo con successo della molecola ‘Pealut'”, formata dalla palmitoiltanolamide (Pea) e dall’antiossidante flavonoide luteolina (Lut), “ultra micronizzata per il trattamento della ‘brain fog’ ed i disturbi olfattivi, la stiamo testando anche nella Pppd”, conclude la ricercatrice.
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