Gli scienziati sono scettici e preoccupati degli effetti di un’eventuale quarta dose di vaccinazione anti-Covid per tutti. I dubbi riguardano sia l’efficacia che le probabilità di creare una sorta di “paralisi immunitaria”
Quarta dose sì o quarta dose no: ora è questo il dilemma. Se sul primo booster anti-Covid gli scienziati non avevano dubbi, non si può dire altrettanto sull’ipotesi di un secondo richiamo. Troppe le incertezze sull’efficacia e sui possibili rischi. Prima di tutto perché i vaccini attualmente in uso sono stati sviluppati sulla versione originale del virus Sars-CoV-2 e non sulle attuali varianti in circolazione. «Effettuare una quarta dose con un vaccino sviluppato per un virus diverso da quello attualmente in circolazione potrebbe non essere la migliore strategia contro la pandemia», conferma Mario Galgani, immunologo e ricercatore presso l’Università di Napoli Federico II. «Non ha molto senso ripetere una quarta dose a 2-3 mesi dalla terza con un preparato non aggiornato», concorda Sergio Abrignani, immunologo dell’università Statale di Milano.
In effetti, i primissimi dati che ci arrivano da Israele sulla quarta dose sono molto deludenti. La ricerca lanciata circa un mese fa presso lo Sheba Medical Center, mostra che i vaccini Pfizer e Moderna, anche dopo la quarta dose, sono solo parzialmente efficaci nella difesa contro la variante omicron. Il numero di volontari non è elevato ma è la prima ricerca sulla quarta dose. I soggetti coinvolti sono in totale 154, cioè medici dello Sheba Medical Center, sottoposti alla quarta dose del vaccino Pfizer e altri 120 che si sono offerti volontari per il vaccino Moderna. I risultati mostrano che una settimana dopo che le persone hanno ricevuto il vaccino Moderna (dopo che in precedenza avevano ricevuto tre dosi di Pfizer), l’aumento dei livelli di anticorpi è stato simile a quelli che hanno ricevuto la quarta dose del vaccino Pfizer (dopo che in precedenza avevano ricevuto sempre tre dosi di Pfizer). «Malgrado la crescita del livello di anticorpi, la quarta dose offre soltanto una difesa parziale contro il virus», spiegano i ricercatori israeliani. «Abbiamo visto molte persone infettate con omicron dopo la quarta dose», aggiunge.
Non è soltanto questione di scarsa efficacia. «Le immunizzazioni ripetute in tempi ravvicinati a volte producono lo spegnimento della risposta immunitaria», dice Abrignani. Approfondisce Francesco Broccolo, virologo all’Università Bicocca di Milano: «In Italia, notiamo, che con la terza dose gli anticorpi non salgono come dovrebbero, anzi conducono ad una ipoanergia, ovvero una scarsa reattività da parte dei linfociti B e T di memoria, che di conseguenza producono pochi anticorpi». Una quarta dose potrebbe quindi addirittura essere controproducente. «La quarta dose – continua Broccolo – aumenta di sole quattro volte gli anticorpi, mentre la terza aumenta di cento volte la riposta immunitaria, secondo i dati che vediamo da Israele. Per non parlare – continua – di eventuali effetti collaterali: maggiore è il titolo anticorpale e, probabilmente, è più alta la reattogenicità. La quarta dose quindi, discorso a parte per i fragili, non è mai stata fatta nella storia dei vaccini e senza dati non è opportuno farla. E comunque fare la terza dose è come giocarsi il jolly, dopo questa somministrazione abbiamo finito le fiches».
Che il nostro sistema immunitario possa non reagire bene a una quarta dose lo sostiene anche Antonio Cassone, professore all’American Academy Microbiology. «La nostra macchina immunologica ci protegge da tante cose ma può andare in corto circuito se troppo stimolata, ad esempio da stimoli antigenici anche vaccinali», dice. «Abbiamo una piccola dimostrazione che se ripeti le dosi a poco tempo di distanza tu rischi di non avere un miglioramento della risposta. Rischi addirittura – continua – di annullare la risposta precedente». Si chiama «paralisi immunitaria», che può avvenire quando il dosaggio o la scheda di vaccinazione non vengono rispettate correttamente. Il vaccino anti-influenzale, ad esempio, viene ripetuto più volte nel corso della vita, ma una volta all’anno. «Più passa il tempo, più dosi devi ripetere, più devi distanziarle: altrimenti la risposta rischia di essere più bassa o addirittura nulla», sottolinea Cassone.
Secondo gli scienziati, quindi, bisognerebbe cambiare strategia. «Come immunologo – dice Galgani – credo che il modo migliore per proteggere la popolazione sarebbe quello di sviluppare un vaccino in grado di rispondere alle esigenze della situazione emergenziale. I vaccini attualmente in distribuzione sono stati realizzati e ingegnerizzati sul ceppo di Wuhan, che ormai non è più in circolazione. Si dovrebbe implementare il processo di sequenziamento delle nuove varianti, e progettare nuove piattaforme di immunizzazione sulla base delle caratteristiche dei ceppi dominanti». L’idea è quindi quella di affrontare la situazione emergenziale come un’epidemia influenzale, con richiami annuali per i soggetti più fragili progettati in base alle esigenze. «Credo che una strategia del genere sia fattibile – conclude Galgani – la capacità di adattare il vaccino alle varianti dipende dalle possibilità delle aziende farmaceutiche, ma in generale, una volta messi a punto i meccanismi di base, non dovrebbero sorgere particolari ostacoli».
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