Intervista al docente di Economia Sanitaria all’Università Tor Vergata di Roma: «C’è un problema di ordinativi, sottovalutata la complessità della produzione di massa»
«C’è evidentemente un problema di ordinativi riguardo alla campagna vaccinale anti-coronavirus. A mio parere fin dall’inizio c’è stato troppo ottimismo sulle capacità di produzione in massa dei vaccini. Per quanto concerne l’andamento della campagna, è ancora presto per giudicare: vaccinare i medici negli ospedali è stato giustissimo ma anche la parte più facile del compito ». Così in un colloquio telefonico con Sanità Informazione il professor Federico Spandonaro, economista, titolare della cattedra di Economia Sanitaria presso l’università Tor Vergata e presidente del C.R.E.A. Sanità.
«Stiamo ancora lavorando sulle poche dosi che sono arrivate, il primo reale stress test di resa del sistema si vedrà quando si dovranno vaccinare gli over 80 e quasi sempre l’organizzazione non risulta omogenea sul territorio. Direi che la campagna vaccinale non è, in sostanza, ancora partita, non essendoci – salvo alcune importanti eccezioni – le dosi sufficienti».
Questa situazione è probabilmente dipesa, come è stato spiegato nel rapporto del C.R.E.A. Sanità, da una sottovalutazione del problema a monte: «Sono produzioni complesse, e anche per riqualificare un impianto produttivo da produzione farmacologica standard a vaccini, che ormai sono prodotti di altissima tecnologia, ci vogliono alcuni mesi. Ciò vuol dire che per vedere l’effetto degli accordi fra aziende per allargare la produzione probabilmente dovremo attendere l’estate. Forse ci si aspettava anche che firmando commesse con diverse case produttrici le consegne potessero arrivare in contemporanea, e invece i ritardi ci hanno spiazzato».
Non ha giovato nemmeno la politica delle case farmaceutiche di far “passare avanti” rispetto agli ordinativi alcuni paesi, anche se, ci spiega Spandonaro, si tratta di una dinamica normale all’interno del mondo degli approvvigionamenti in sanità: «Una parte della differenza di prezzo deriva dal fatto che alcuni paesi hanno investito nella ricerca sostenendo le aziende private del farmaco e questi paesi in questo modo si sono visti riconoscere uno sconto. Accanto a questo c’è il tema della differenziazione del prezzo, che in economia è un fenomeno assai comune visto che serve fra l’altro a far pagare di più alcuni clienti, in questo caso dei paesi che possono pagare di più. Tutto sommato questo può anche avere un risvolto positivo, nella misura in cui consentisse di vendere lo stesso prodotto a clienti, o paesi, con minore disponibilità economica».
L’attuale fase vaccinale diventa così l’occasione per capire meglio il complicato mondo dell’economia sanitaria e farmaceutica, che condivide alcuni tratti con altri mondi dell’economia ma per degli elementi qualificanti se ne differenzia: «Un farmaco non è una lavatrice – ci spiega ancora Spandonaro -. Non si può produrre in più modelli diversi. Di fatto non è “diversificabile” e quindi ha più le caratteristiche di quei beni che in linguaggio economico vengono chiamate commodities. Per discriminare il prezzo nei diversi Paesi, il meccanismo utilizzato, di cui l’Italia ha molto giovato, è quello dei cosiddetti “sconti confidenziali”. Ovvero una riduzione di prezzo non pubblica rispetto agli accordi. Questo capita quando le aziende vogliono mantenere mercati che, per varie ragioni, hanno meno disponibilità a pagare, come quello italiano; in tal caso le aziende preferiscono fare in modo che non si sappia l’entità dello sconto, per l’ovvia ragione che altrimenti paesi concorrenti vorrebbero le stesse agevolazioni. Su questo punto, ad esempio in tema di trasparenza sulle politiche sanitarie e farmaceutiche, c’è anche un certo dibattito. Il nostro paese si è esposto chiedendo la massima trasparenza su prezzi e ordinativi, il che potrebbe giocarci contro, per le ragioni a cui accennavo».
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