Salute 3 Gennaio 2022 15:19

Cuffing season: ecco chi s’innamora solo d’inverno (e perché)

Silvaggi (psicoterapeuta): «La cuffing season non è un problema finché non causa disagi né a sé, né agli altri. L’identikit dei soggetti più a rischio: estroversi, dotati di elevata autostima, “intolleranti” alla troppa vicinanza»

“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, per non rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche e il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno: venivano sballottati avanti e indietro fra due i mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza”. E proprio come i porcospini del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, molte persone si stringono ad un partner, ricercando una relazione stabile, solo nella stagione invernale.

L’amore d’inverno

«Si chiama “cuffing season” (tradotto letteralmente “stagione delle manette”) e racchiude un atteggiamento tipico di quegli uomini e di quelle donne che tendono ad instaurare una relazione stabile solo durante l’inverno, per poi ritornare single al primo tiepido sole primaverile», spiega Marco Silvaggi, psicologo e psicoterapeuta, membro del network di psicologia e sessualità dell’Ordine degli Psicologi del Lazio.

Cuffing season, le motivazioni

Le ragioni di questo atteggiamento possono essere di natura sia biologica che psico-sociale. «Con l’arrivo dell’inverno, quando le giornate si accorciano e la luce diminuisce, si verifica una fisiologica riduzione del livello di serotonina – spiega l’esperto -. E, quindi, per una motivazione “biologica” le persone sono istintivamente spinte a cercare un legame stabile e una sessualità regolare per bilanciare questo calo della serotonina e il senso di benessere e di serenità che ne deriva. Da punto di vista psicologico, invece – continua Silvaggi -, durante l’inverno si preferisce puntare su un partner fisso per evitare di rimanere isolati in una stagione in cui le uscite sono poco frequenti e la vita sociale meno attiva. Un timore – aggiunge lo psicoterapeuta – amplificato dalla pandemia e dai ripetuti lockdown».

Un fenomeno in aumento

Non è possibile stimare quante persone “soffrano” di cuffing season, ma alcuni dati disponibili online possono offrire una fotografia parziale piuttosto attendibile. «In questi due anni di pandemia, non solo è aumentato il numero di persone che usa siti di incontro, ma sono cambiati anche i parametri di ricerca utilizzati. Non si aspira più soltanto ad un uomo o ad una donna dall’aspetto piacevole con cui trascorrere la serata, ma ad una persona con specifiche caratteristiche caratteriali e interessi compatibili. In altre parole, un partner con cui condividere del tempo di qualità o, in caso di lockdown, anche intere giornate di “isolamento” tra le mura domestiche».

L’identikit

Estroversione, elevata autostima e disagio per la troppa vicinanza sono le principali caratteristiche dei soggetti “a rischio” per cuffing season. «Chi è estroverso ed è ha molta stima di sé – spiega lo psicoterapeuta – è convinto che riuscirà a trovare facilmente un partner ogni qual volta ne avrà l’esigenza. Da un legame stabile potrebbe addirittura derivare una forma di disagio: pur instaurando una convivenza, queste persone, ben presto, finiranno per separasi a causa di un tubetto del dentifricio spremuto male».

Questione di carattere, disagio o disturbo?

Indulgere nella «cuffing season non è un problema finché non ne causa, né a sé, né agli altri – sottolinea lo specialista -. In altre parole, può trasformasi in un disturbo se da questo atteggiamento scaturiscono conseguenze fisiche o psicologiche (che mettono in pericolo la propria salute), sociali, di natura legale (come spendere denaro oltre le proprie disponibilità). Ancora, ne potrebbe derivare una profonda frustrazione se la persona, pur affermando di voler instaurare una relazione solida, ha un comportamento che va in tutt’altra direzione». E allora qual è la ricetta ideale? «La giusta distanza. Ricordandoci – conclude Silvaggi – che ognuno ha la sua: non tutti abbiamo aculei della stessa lunghezza».

 

 

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