Dal tavolo di confronto organizzato da Fondazione Roma Sapienza con La7 tanti spunti per ridare fiducia a giovani e famiglie. Necessari interventi su politiche aziendali e welfare per puntare a una ripresa nei prossimi 10 anni
Culle sempre più vuote: per il settimo anno consecutivo in Italia si è registrata una diminuzione delle nascite che nel 2020 ha fatto registrare un record negativo di 6000 unità rispetto ai dodici mesi precedenti. Complice la pandemia da Covid che ha alimentato paure ed incertezza economica, oggi l’Italia si trova in una situazione che avrà negli anni ripercussioni negative sulla società e sull’economia.
Di questo e di molto altro si è parlato nel convegno organizzato ieri da Fondazione Roma Sapienza in collaborazione con La7 su “La sfida alla denatalità al tempo della Next Generation”. Un tavolo di confronto che ha visto la partecipazione di nomi illustri, tra cui Fabio Mosca, presidente della Società Italiana di Neonatologia, Walter Ricciardi, consigliere scientifico del Ministero della Salute e Pasquale Tridico presidente dell’Inps.
Ad aprire i lavori è stata la rettrice dell’Università Sapienza Antonella Polimeni che ha snocciolato una serie di dati significativi mettendo a confronto la realtà italiana con altri paesi europei.
«Diversamente dalla Francia che ha adottato politiche per incentivare le nascite, l’Italia negli ultimi anni non ha fatto molto per fronteggiare il problema della denatalità che già era evidente prima della pandemia – ha sottolineato Polimeni -. Se poi si considera che i nati oggi saranno i potenziali genitori tra venti e trent’anni, si può ipotizzare che ci saranno sempre meno nascite, con una ripercussione sulla società e sull’economia. Le ragioni di questo fenomeno, che con la pandemia si è accentuato, vanno ricercate nella mancanza di politiche a favore della famiglia che mettono le mamme italiane in condizione spesso di dover rinunciare alla maternità per non perdere il lavoro. Una ricerca promossa dalla presidenza del consiglio di Regione Lombardia ha evidenziato che oggi in Italia solo il Trentino-Alto Adige è capace di mettere in atto azioni di welfare aziendale tali per cui le donne hanno flessibilità di orario di ingresso, utilizzo di part-time verticali e orizzontali, servizi di baby-sitter e nidi aziendali».
Ad un calo significativo di nascite fa da contraltare un’aspettativa di vita che è cresciuta negli ultimi decenni al punto che oggi l’Italia è tra i paesi più longevi, se pur le malattie croniche siano un tema ricorrente soprattutto tra le donne. Dal 1993 ci sono più morti che nati all’anno e la forbice è destinata ad allargarsi. «Le tavole pubblicate dall’ISTAT mostrano infatti che Italia è al primo posto in Europa per longevità soprattutto negli uomini, al pari della Svezia – ha sottolineato Eugenio Gaudio, presidente della Fondazione La Sapienza -. L’allungamento della vita rischia però di essere percepito negativamente. La crescente presenza di una popolazione anziana diventa infatti insostenibile se si intreccia con la denatalità».
Il problema si è ulteriormente aggravato negli ultimi quattordici mesi a causa del Covid, che, alla mancanza di politiche per la famiglia, si è aggiunta la paura per la pandemia e l’incertezza economica per il futuro. La pandemia ha inserito sulla denatalità una variabile importante: che ha già agito nel 2020 con 404 mila nati, in diminuzione nel 2021. Lo ha rimarcato nel suo intervento Fabio Mosca, Presidente della Società Italiana di Neonatologia: «Questo trend negativo si è accentuato con la seconda ondata della pandemia da Covid quando si è riscontrato un meno 10 percento nelle nascite tra il mese di ottobre e dicembre 2020. L’ISTAT prevede uno scenario che ci porterà negli anni ad andare rapidamente anche sotto i 300 mila nati fino ad arrivare a 200 mila nel 2050. Eppure, se analizziamo la qualità delle strutture ospedaliere e i punti nascita possiamo osservare che in Italia il sistema di cure perinatali è ottimo, i dati sulla mortalità infantile sono tra i più bassi al mondo anche se esistono ancora delle criticità da superare, come una forbice che non si riesce a ridurre tra nord e sud per la qualità dei punti nascita».
Una società con meno giovani e più anziani porterà ad avere sempre meno forza lavoro con il rischio di mettere in crisi il sistema pensionistico e sanitario. A lanciare il grido di allarme è stato Pasquale Tridico, presidente Inps, che ha anche rimarcato come il panorama dei lavoratori oggi in Italia stia cambiando. «La crescente denatalità è stata in parte attutita, da un punto di vista lavorativo, da una nuova popolazione di immigrati, ma quando i baby boomers nati negli anni ‘60 usciranno dal mondo del lavoro il problema del welfare sanitario e assistenziale aumenterà».
«Noi siamo il primo paese al mondo ad aver avuto questo cambio generazionale tra giovani e anziani, già nel 1999. In Francia arriverà nel 2040 e in Indonesia nel 2065 – ha aggiunto Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute -. Non solo; se è vero che gli italiani vivono di più, è altrettanto vero che uno su due ha una malattia cronica come diabete, ipertensione, asma il che significa che avranno bisogno di assistenza, mentre contemporaneamente sono stati fatti tagli alla sanità, ridotti i servizi e si sono generate liste d’attesa lunghissime, ancor più dopo la pandemia da Covid».
Trovare le soluzioni è la sfida che hanno lanciato i relatori del convegno. E se lo stesso Tridico si è mostrato fiducioso nell’operato di Draghi perché ha detto «questo governo con il PNRR ha tutti gli elementi per favorire una nuova ondata di euforia che potrebbe cambiare la situazione in tempi brevi», Ricciardi ha individuato alcuni elementi su cui fare un’azione per invertire la rotta: «Occorre investire di più sulla salute dei cittadini, riorganizzare le prestazioni sanitarie e fare politiche che incentivino una ripresa delle nascite. In tal senso sarebbe necessario rilanciare i matrimoni, investire nel lavoro per le donne e nei servizi per la prima infanzia, questo secondo l’Istat accrescerebbe la fiducia nel futuro tale da far ripartire le nascite ed arrivare nei prossimi dieci anni alle 500 mila unità».
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