In una conferenza a Palazzo Madama il Carroccio presenta un documento con le indicazioni per potenziare la medicina territoriale e le indicazioni terapeutiche per terapie precoci a casa. Il responsabile sanità Coletto: «Solo così possiamo alleggerire il sistema sanitario nazionale le cui strutture sono purtroppo in affanno»
«Ho avuto il Covid senza grandi conseguenze per la prima settimana. Nella seconda settimana sono stata colpita da una infezione renale non diagnosticata. Ero quasi in setticemia, mi ha aiutato mia figlia che mi ha messo in contatto con dei medici anestesisti. Resta di quei giorni il senso di amarezza e di abbandono». Sono le parole della senatrice leghista Antonella Faggi colpita lo scorso novembre dal Covid e costretta a restare lontana da Palazzo Madama per due mesi. Il suo racconto vale più di mille parole ed è la descrizione di quello che accade a tanti malati di Covid che ad un anno dallo scoppio della pandemia ancora non riescono a ricevere le giuste cure domiciliari.
Sul tema il partito di Matteo Salvini è impegnato da tempo per sensibilizzare le istituzioni. Lo ha fatto ancora attraverso una conferenza stampa indetta dal senatore Alberto Bagnai in cui sono stati presentati gli indirizzi operativi per la gestione dei pazienti Covid-19 in ambito domiciliare proposti dal gruppo di lavoro coordinato dall’assessore alla Sanità della Regione Umbria Luca Coletto, che ricopre anche la carica di Capo del Dipartimento Sanità del Carroccio.
Alla conferenza erano presenti anche il dott. Paolo Allegri, specialista in medicina generale, neonatologia e patologia neonatale, membro del comitato scientifico di Ippocrate.org, e il dott. Andrea Mangiagalli, medico di medicina generale, specialista in microchirurgia sperimentale, fondatore di Medici in prima linea e membro del Consiglio scientifico del Comitato Cura Domiciliare Covid 19, che ormai raccoglie oltre 300mila iscritti alla pagina Facebook e 1500 casi attualmente in carico. Con loro il capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo.
Il testo prende spunto delle indicazioni per il trattamento domiciliare dei pazienti con Covid-19 da ultimo emesse dalla Società Italiana di Medicina generale e delle cure (SIMG) e propone, tra le altre cose, di avviare progetti di ricerca che abbiano per oggetto gli approcci terapeutici al domicilio e siano proposti da gruppi di medici e altri operatori della salute operanti nel contesto delle cure domiciliari. Tra le proposte, quella di creare una “Banca Dati Clinici Territoriali” che registri le azioni terapeutiche attivate e i conseguenti risultati, se possibile messi a confronto con appropriate popolazioni di controllo.
Altro punto è il rafforzamento della medicina territoriale, partendo dal dato segnalato in un documento del Ministero della Salute che individua la “latenza tra l’inizio dei sintomi e la prima valutazione medica” tra le condizioni che possono determinare un decorso più severo della malattia.
Dunque, per il gruppo di lavoro della Lega è fondamentale, oltre alla presa in carico tempestiva del paziente Covid, anche la personalizzazione delle cure tenendo conto delle peculiarità del paziente. «In tale quadro – si legge – è necessario che sia lasciata ai medici sul territorio la possibilità di attuare interventi che – considerando le prove scientifiche disponibili, la plausibilità biologica e la situazione particolare del paziente – si ritengano utili, in scienza e coscienza, ad alleviare le sofferenze e scongiurare le conseguenze potenzialmente gravi della malattia». Per questo la Lega ritiene utile che i medici propongano ai pazienti anche farmaci off label.
Tra i farmaci più usati nella gestione del paziente Covid a domicilio si citano la vitamina D, laddove il medico ne ravvisi l’insufficiente apporto rispetto alle necessità del paziente, i prebiotici, soprattutto per le forme gastrointestinali, la N-acetilcisteina, o altri prodotti analoghi, con proprietà di sostegno al metabolismo del glutatione e controllo dell’equilibrio redox cellulare; l’acido acetilsalicilico a basse dosi antiaggreganti piastriniche, l’idrossiclorochina, solo nelle primissime fasi della malattia a basso dosaggio e per un tempo limitato, previa acquisizione del consenso informato scritto del paziente poiché farmaco off label, i corticosteroidi, come da indicazioni AIFA, gli antibiotici, come da indicazioni AIFA, solo nel caso che il curante ritenga necessaria una copertura antibatterica, le eparine a basso peso molecolare, come già indicato da AIFA.
«Per rispondere alle criticità di ospedalizzazione dovuta all’emergenza Covid-19 è necessario guardare alle terapie domiciliari per alleggerire il sistema sanitario nazionale le cui strutture sono purtroppo in affanno. Occorre coinvolgere e valorizzare la medicina territoriale, stanziare i fondi necessari per progetti di ricerca e creare banche di dati clinici territoriali per registrare le azioni terapeutiche e i risultati ottenuti» ha spiegato Luca Coletto.
Il capogruppo della Lega a Palazzo Madama Massimiliano Romeo ha annunciato che la settimana prossima sarà presentata una mozione in Senato che impegni il governo ad implementare le cure domiciliari.
Tra i protagonisti della conferenza c’è stato anche Andrea Mangiagalli, medico di medicina generale e tra i primi, nel marzo 2020, ad accorgersi dell’importanza delle cure domiciliari tanto da creare un gruppo di medici e specialisti pronti ad offrire assistenza – anche telefonica – a chi ne avesse bisogno.
Secondo Mangiagalli curare le persone a casa offre molti vantaggi, come per esempio evitare il rischio di infezioni che spesso colpiscono i pazienti Covid. «Il tasso di ricovero è dell’1% – spiega Mangiagalli – e quasi sempre senza transitare dalle terapie subintensive. Non c’è dubbio che la nostra è un’attività molto impegnativa, significa dare una disponibilità telefonica h24».
«Il numero dei morti è ancora molto alto perché molti malati non vengono curati a domicilio in fase precoce – spiega Mangiagalli a Sanità Informazione -. Questa è una malattia che fa dei danni sistemici che vanno prevenuti in maniera tempestiva con farmaci appropriati. Mancando un primo ostacolo alla diffusione della malattia, tutto quello che segue viene a cascata. I pazienti arrivano in ospedale con la compromissione generale di molti organi e a quel punto è difficile salvare. Molti pazienti muoiono sia per il polmone danneggiato dall’attesa sia per le infezioni che colpiscono magari gli organi che hanno scampato la malattia».
Mangiagalli contesta l’indicazione della ‘vigile attesa e paracetamolo’: «Il paracetamolo – spiega – è un antipiretico che non ha azione antinfiammatoria. Anzi, consuma le riserve epatiche di glutatione che è una sostanza antiossidante naturale che in una malattia come questa che comporta un danno ossidativo importante gioca un ruolo preminente. Altro errore è stato dire che 37.5 era il livello della febbre sopra cui prendere la tachipirina. Alcune persone hanno preso il paracetamolo subito e il medico non ha più potuto valutare il dato della temperatura che è un indicatore importante. Stessa cosa il cortisone: darlo nella primissima fase della malattia favorisce la proliferazione virale».
Infine, l’auspicio che la medicina generale torni protagonista della ricerca: «La medicina generale – tranne piccoli gruppi dentro le società scientifiche – non hanno mai fatto ricerca di fase tre. Sono stati coinvolti in ricerche osservazionali o con raccolta di dati, ma mai considerati una forza lavoro della ricerca. Spero che le cose cambino».
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