Il presidente Sicp: «Ogni anno 400mila individui muoiono con bisogno di cure palliative. Eppure una persona su tre sa cosa siano. La disinformazione coinvolge anche gli operatori sanitari»
«Non prolungano, né interrompono la vita. Le cure palliative vengono erogate ai malati inguaribili, nell’ultima fase della propria vita. Sono molto di più di una semplice terapia medica, non riguardano solo l’aspetto clinico del malato, ma considerano la persona nel suo insieme. È fondamentale conoscere la storia emotiva del paziente, la maniera in cui questo affronta la sua malattia». Italo Penco, presidente della Sicp, la Società Italiana di Cure Palliative, in occasione del World Hospice and Palliative Care Day, celebrato di recente, fotografa la realtà italiana delle cure palliative, tra carenze legislative e scarsa informazione tra cittadini e personale sanitario.
Il World Day è una giornata internazionale promossa dalla commissione della Worldwide Palliative Care Alliance a sostegno degli Hospice e delle cure palliative in tutto il mondo.
In Italia, almeno dal punto di vista legislativo, le cure palliative hanno compiuto vent’anni: «Il primo decreto legge in materia di cure palliative risale al 1998 – ha spiegato Penco -. Un testo importante che ha permesso di destinare dei finanziamenti alle cure palliative, in particolare per la realizzazione degli hospice. In quegli anni, in Italia, se ne contavano appena 3. È stata poi la successiva legge 38 del 2010 (“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” , ndr) ad aver davvero rivoluzionato lo scenario: ha sancito il diritto di ognuno ad avere accesso alle cure palliative, ha stabilito chi deve somministrarle e quando. Ancora, ha messo nero su bianco i requisiti minimi che devono avere le reti di cure palliative, nell’adulto separate da quella della terapia del dolore e per l’assistenza ai pazienti pediatrici unite, invece, in un’unica rete».
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E allora, perché a distanza di otto anni, nonostante gli eccellenti e precisi contenuti di questa legge, c’è ancora bisogno di appellarsi alla classe politica affinché si occupi delle cure palliative?
«Mancano i decreti attuativi – ha sottolineato il presidente della Sicp, che ha recentemente partecipato ad una delle audizioni sull’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore in corso alla Commissione Affari sociali della Camera, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
«In particolare – ha continuato Italo Penco – è necessario che si intervenga su determinati aspetti della legge, per passare dalle parole i fatti».
Il punto numero uno su cui è necessario agire è la comunicazione: i cittadini sono disinformati. «Neanche una persona su tre sa cosa siano esattamente le cure palliative, chi ne ha diritto, quando e perché. Molti – ha detto il presidente Sicp – fanno ancora confusione tra eutanasia e cure palliative. La disinformazione coinvolge anche gli operatori sanitari: soltanto il 30%, secondo una delle nostre indagini, conosce con precisione il contenuto della legge 38. Il ministero, negli anni scorsi, ha stanziato delle risorse per una campagna di informazione in tema di cure palliative, ma è risultata del tutto inefficace».
Al punto numero due degli interventi necessari c’è la formazione: «La legge – ha commentato Penco – prevedeva che fossero attivati degli insegnamenti in materia di cure palliative nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia e per tutte quelle figure professionali che ruotano intorno al mondo della salute, dagli psicologi agli infermieri. Poi, la stessa legge, aveva stabilito anche una lista di nove specialisti che avrebbero potuto erogare cure palliative, ovviamente sempre dopo aver conseguito l’adeguata preparazione sull’argomento. Ma anche qui non ci sono state delle disposizioni precise e risolutive».
Ma allora se non esiste una preparazione ad hoc, chi è che oggi si occupa di questi pazienti che hanno bisogno di cure palliative? «Sin dagli anni ’90 – ha risposto il presidente Sicp – sono stati diversi i medici che hanno maturato una grande esperienza in questo ambito. Una legge del 2013 ha poi permesso di ricevere un’abilitazione professionale a tutti coloro che avessero maturato almeno 3 anni di attività nel settore. Ma oggi, rispetto a quegli anni, gli hospice si sono moltiplicati in maniera esponenziale: se nel ’98 se ne contavano 3 oggi ce ne sono 239. Questo si traduce in una necessità di figure professionali: la crisi della carenza di medici, che da più parti viene annunciata, si ripercuote anche nelle cure palliative».
Per fortuna qualcosa si muove: «È probabile – ha spiegato Italo Penco – che, attraverso delle raccomandazioni inviate agli Atenei, già da quest’anno vengano inseriti dei crediti formati per i percorsi di studio in ambito sanitario».
Al terzo punto della lista dei provvedimenti urgenti c’è il terzo settore: «Le cure palliative – ha aggiunto il presidente Sicp – sono nate con il volontariato, che continua a rappresentarne la forza. Per tale motivo va legittimato, così come previsto dalla legge 38».
E per mettersi in regola non c’è tempo da perdere: le richieste di cure palliative continueranno ad aumentare. «Si vive più a lungo e, spesso, in condizioni di estrema fragilità. Le cure palliative sono “nate e cresciute” in ambito oncologico, ma – ha detto Penco – oltre il 60% dei pazienti che ne ha attualmente bisogno soffre di altre patologie. Ogni anno 300-400 mila persone muoiono con bisogno di cure palliative, il 70-80% dei quali non per un tumore. Le cure palliative sono necessarie ad alleviare le sofferenze di questi anziani, malati inguaribili e complessi, spesso colpiti da più patologie».
Anche in ambito pediatrico le richieste sono in crescita: «Bambini affetti da malattie genetiche, neurodegenerative, oncologiche, oggi vivono più a lungo grazie alla tecnologia. Ed anche loro – ha spiegato il presidente Sicp – hanno bisogno di essere accompagnati con le cure palliative. Si stima che siano circa 30 mila i bambini che ogni anno ne hanno la necessità. In Italia, gli hospice a loro dedicati sono solo 5».
Per gli adulti, invece, il numero degli hospice si avvicina molto a quello che è il reale fabbisogno anche se la distribuzione non è omogenea in tutta Italia. «I malati muoiono troppo spesso in ospedale, un danno sia per la salute pubblica che per le casse dello Stato – ha spiegato Italo Penco – . Il 20% delle risorse del Ssn è consumato dall’1% delle persone che si trovano nell’ultimo anno di vita. Che tradotto in cifre vuol dire che il nostro Sistema Sanitario spende giornalmente risorse importanti in modo non appropriato».
Facciamo un esempio: «Il costo giornaliero di un ricovero in un reparto di terapia intensiva può variare dagli 800 a 2 mila euro. Assistere lo stesso paziente – parliamo di un malato inguaribile – all’interno della sua abitazione – ha detto il presidente Sicp – significherebbe non solo risparmiare fondi pubblici, ma soprattutto migliorare qualità della vita della persona. Basti pensare che in un ospedale è possibile far visita ai degenti per un’ora o al massimo due al giorno. E se una persona che sta per morire volesse sfruttare il tempo che gli rimane in modo più consono, magari proprio accanto alle persone care?», ha chiesto il presidente della Sicp.
Ecco, questo è l’ultimo punto della lista delle priorità: «La propria casa è il luogo ideale per ricevere le cure palliative. E dobbiamo impegnarci affinché ciò sia realizzabile, lasciando che arrivino negli hospice solo coloro che altrimenti – ha concluso Penco – non avrebbero un’alternativa, un luogo sereno in cui trascorrere gli ultimi giorni della propria vita».