Una “fuga invisibile” perché sviluppatasi in un Paese poco monitorato, una serie di mutazioni incubate da un soggetto con patologia cronica oppure un retropassaggio verso una specie animale tra le più pericolose per le malattie: quella di topi e ratti. Come si è sviluppata Omicron con le sue 55 mutazioni, lontanissima da Alpha e Delta che da sola ha contagiato più in due mesi di quanto le prime due abbiano fatto in anni? Lo abbiamo chiesto al prof. Rasi, consigliere di Figliuolo e direttore scientifico di Consulcesi
La variante Omicron è veloce, velocissima. Gli scienziati di tutto il mondo l’hanno sequenziata in oltre 120 paesi dopo averla riconosciuta in Sudafrica per la prima volta. Da allora ha fatto più contagi di tutte le altre varianti messe insieme. Da dove viene e qual è il suo segreto?
Gli esperti hanno parlato di un caso estremamente peculiare perché non esiste un percorso chiaro di trasmissioni che colleghi la variante Omicron a quelle precedenti. Quest’ultima colleziona un numero “insolito” di mutazioni ed è riuscita a passare inosservata agli occhi dei ricercatori. È inoltre diversissima sia da Alpha che da Delta, la sua “parente” genetica più prossima è una variante sequenziata a metà 2020.
Nature, nel seguire i progressi delle ricerche accademiche, ha raccolto le tre teorie più accreditate e noi di Sanità Informazione ne abbiamo chiesto un commento al prof. Guido Rasi, ex dirigente EMA, ora consulente del Generale Figliuolo e direttore scientifico di Consulcesi. «È normale chiedersi a cosa serva conoscere l’origine di Omicron – ci spiega in apertura – ma sapere che da sola e in soli due mesi ha contagiato 6 milioni di persone, contro i 4 milioni accumulati da Alpha e Delta in due anni, aiuterà a capire quanto sia importante conoscerla meglio. Sapendo da dove viene si può tentare di arginarla meglio o di prevenire l’arrivo di altre varianti».
Le tre teorie delineano la strada che vede Omicron sfuggire ai ricercatori, registrando mutazioni in parti del mondo tendenzialmente poco mappate; oppure quella che la vede mutare all’interno di una persona con una patologia cronica; o, infine, quella che vede un nuovo passaggio di specie, questa volta dai ratti. Il gruppo SAGO, la recente novità introdotta dall’OMS per indagare sui nuovi agenti patogeni, si è riunito a gennaio e prevede un rapporto a stretto giro. Ma per ora le ipotesi più accreditate rimangono queste.
La variante Omicron è stata trovata per la prima volta in Sudafrica e Botswana nel novembre 2021. La datazione della sua prima comparsa, dopo un’analisi del tasso di mutazione nei genomi, ha mostrato che l’origine della variante poteva essere collocata tra fine settembre e inizio ottobre dello stesso anno. Non è detto che sia però partita proprio in Sudafrica, a Johannesburg c’è uno degli aeroporti più frequentati del mondo: è perciò probabile che venga da altrove ma sia stato sequenziato lì per primo grazie agli avanzati sistemi di sorveglianza del Paese.
La variante contiene più di 50 mutazioni dal virus Sars-CoV-2 originale di Wuhan, di cui circa 30 collocate nella proteina Spike che il virus usa per attaccarsi alle cellule. Per spiegarci, nelle varianti precedenti le mutazioni non superano il numero di 10. Rafforzata da queste “modifiche” la variante elude anche più facilmente la protezione conferita dal vaccino oppure indotta da guarigione causata però da “un altro” Covid. Ha inoltre avuto tempo di mutare moltissime volte prima che gli scienziati se ne accorgessero.
Gli scienziati spiegano questa “fuga” della variante Omicron con il fatto che il processo di mutazione si sia verificato in maniera “invisibile”, ovvero in una regione del mondo come l’Africa che ha sequenziamento genomico limitato e con poca testing activity. In Sudafrica sono stati sequenziati 28mila genomi, meno dell’1% del totale di casi Covid-19 e in paesi limitrofi molti meno.
«Si tratta di una teoria abbastanza plausibile – commenta Rasi –, il tempo c’è stato e ci sono paesi vicino al Sudafrica, dove la variante è stata poi retrospettivamente trovata in molte persone infette e quindi la possibilità che, mutazione dopo mutazione, si sia affermata in quanto variante molto più competitiva rispetto alle altre potrebbe essere la semplicistica ma valida spiegazione».
Questa seconda teoria, spiega ancora il professore, prende invece le mosse dall’ipotesi che la variante «non abbia “avuto il tempo” per mutare così tanto e in maniera così importante, nel passaggio da uomo a uomo». C’è però un “incubatore alternativo” per un’evoluzione massiva e rapidissima del virus ed è una persona con un’infezione cronica. All’interno di un organismo già compromesso, il virus può continuare a replicarsi per settimane e addirittura mesi, producendo moltissime alternative per schivare il sistema immunitario.
«In queste popolazioni in cui le cure sono meno disponibili – continua Rasi – è possibile che un paziente con malattia cronica abbia potuto fungere da incubatore per queste mutazioni. Perché la malattia cronica è così importante? Lo è perché il virus continua a riprodursi in un singolo organismo e inizia a ingaggiare una specie di duello con il sistema immunitario delle persone e può accumulare su un singolo malato tante variazioni. Tenendo conto che si replica tante volte al giorno il virus, lì potrebbe essersi verificata quella serie di passaggi che ha configurato la variante attuale. Sommando tutte le 50 mutazioni fondamentali che la configurano».
Ultima ma molto discussa è la teoria che sposta il virus e lo riporta indietro, negli animali. Sappiamo che Covid-19 è altamente contagioso e non solo per gli esseri umani. Abbiamo sentito casi di leopardi, iene, ippopotami, gatti e furetti contagiati. Ha causato la terribile mattanza di visoni in Europa, risalente a qualche mese fa e oltreoceano si è diffusa tra i cervi in nord America. La proteina spike che è contenuta nella variante Omicron può entrare anche in animali più “comuni”, come polli, tacchini e ovviamente topi.
Una delle mutazioni, la N501Y-Q498R, è particolarmente ricettiva per i ratti e i roditori. Omicron ha molti punti in comune (leggi: mutazioni) con altri coronavirus che si sono evoluti nei topi, mentre ne mostra molti meno con quelli di origine umana. Dunque, «il salto di specie da persona a ratto potrebbe essere accaduto tramite liquidi fognari». Poi un ratto infetto potrebbe essere venuto in contatto con un umano e aver scatenato l’emergere di Omicron.
«È interessante – prosegue ancora Rasi – che uno dei ricercatori e autori dell’articolo dica con molta umiltà che ognuna di queste teorie è verosimile ed è legata al ricercatore che la persegue e tenta di dimostrarla. Mancano, però, dati robusti a sostegno di tutte».
Dunque, trovare una soluzione è impossibile? Il professor Rasi crede che una combinazione tra le teorie possa essere la chiave. «In realtà la prima teoria non esclude la combinazione con le altre due: in altre parole il fatto che sia proseguita silenziosamente fino a diffondersi e ad esplodere una volta identificata. Abbiamo visto che è esplosa a ondate come sempre di paese in paese, ma la prima presenza è stata vista nelle zone dell’Africa dove può aver girato per parecchio tempo. Questo non esclude che quello che loro chiamano il silent spread (la diffusione silenziosa) in realtà sia avvenuto dopo che la variante si era stabilizzata in un malato cronico o in un salto di specie dove la trasmissione è ancora più massiva, più rapida e più efficiente perché non c’è nessuna barriera nell’ambito di quelle popolazioni animali e da qui poi silenziosamente si sia trasmessa nella comunità umana».
Solo il sequenziamento, ribadisce Rasi, potrà permettere alla comunità di trovare l’anello mancante e di arrivare più pronti all’arrivo della prossima variante. Com’è stato possibile farsi sfuggire una variante così pericolosa? Dovremmo temere di “perderne” un’altra allo stesso modo? Quel che è certo è che aver lasciato larghe aree di mondo senza la protezione dei vaccini e senza il controllo dei genomi non sia stata una strategia vincente. È proprio qui che il virus ha proliferato e su questo gli esperti ci avevano avvertito.
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