Alla presentazione del V quaderno dell’OSSFOR in collaborazione con SIFO i dati del triennio 2018-2020 indicano una crescita nell’innovazione dei farmaci orfani. Da risolvere il rapporto tra centri di eccellenza e territorio. Si punta ad una quota del Recovery Fund per potenziare la ricerca
Farmaci orfani motore dell’innovazione nel settore farmaceutico e spinta propulsiva per una sanità funzionale e inclusiva. Questo il messaggio dei protagonisti della medicina, del sociale e della politica che hanno partecipato alla presentazione in streaming del Quinto quaderno dell’Osservatorio farmaci orfani in collaborazione con SIFO che si è tenuto lo scorso venerdì. Ad accreditare la tesi dei presenti, coordinati da Francesco Macchia di OSSFOR, i dati relativi ai farmaci orfani nell’ultimo triennio. Da maggio 2017 a giugno 2020 sono state fatte ad AIFA 76 richieste di innovatività, 29 per i farmaci orfani e 47 non orfani. Nel 72% dei casi per gli orfani l’esito è stato positivo, mentre per i non orfani la percentuale di successo è stata inferiore: 62%.
«Il fatto che sia stata concessa una più alta percentuale di innovatività per i farmaci orfani significa che il problema dei piccoli numeri, in passato penalizzante, oggi è superato – ha spiegato Barbara Polistena di Crea Sanità dell’università Tor Vergata di Roma -. La stessa AIFA ha previsto delle deroghe nei criteri di selezione quando si tratta di malattie rare».
«Oggi è cambiato il paradigma perché il rapido accesso alle terapie e a farmaci innovativi è considerato uno strumento di performance in sanità, anche quando si tratta di malattie rare», ha commentato Arturo Cavaliere, presidente di SIFO (società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziendine sanitarie) durante il webinar –. Questo approccio conferma una maggiore responsabilità etica di tutto il sistema nel prendersi in carico fasce di popolazione ridotte con bisogni irrisolti. Il ruolo dei farmacisti ospedalieri in questo senso è strategico come conoscitori di farmaci orfani e di supporto determinante nel percorso terapeutico del paziente con malattia rara. Tra i nodi da sciogliere ora c’è la mobilità regionale e i tempi di accesso ai centri di ricerca».
La necessità di accedere a centri di eccellenza localizzati in regioni differenti e la difficoltà di proseguire le cure a domicilio è uno dei temi sollevati da Federica Borgini, madre di una bambina affetta da malattia rara e caregiver. «Il ruolo dei malati rari nella definizione dell’innovazione e del valore terapeutico diventa preponderante – ha detto –. Se in Europa è riconosciuto, in Italia nella determina di AIFA il paziente riveste ancora il ruolo di cenerentola. Se si vuole vincere la sfida della sostenibilità dei farmaci innovativi non si può non coinvolgere i pazienti e i caregiver nell’individuazione del percorso di cura. Non alla fine, però, ma all’inizio, perché sono i veri esperti della malattia nell’impatto sulla vita lavorativa e quotidiana e nel definire il rapporto rischio-benefici. Non solo, esiste anche uno scollamento tra centro di riferimento e territorio, in particolare per i pazienti minori che non sono contemplati quando si parla di malattie rare, come se questi pazienti non dovessero diventare adulti. Un tempo era così, oggi la situazione è cambiata».
Meno burocrazia, tempi rapidi per la somministrazione dei farmaci e centri di eccellenza. Questa la ricetta per migliorare la condizione dei pazienti con malattie rare. Una ricetta che per Ugo Trama, dirigente per l’attuazione delle politiche del farmaco in Regione Campania, non può prescindere dalla trasparenza «Molti centri sono di eccellenza, altri meno. L’obiettivo è alzare il livello delle prestazioni e, per fare questo, i dati dei centri di cura devono essere pubblici cosicché il paziente possa scegliere. E in questo la regione deve fare da facilitatore per permettere alla gente di curarsi nel miglior istituto possibile».
Per Paola Binetti, presidente dell’intergruppo malattie rare in Senato, «questa sarà la battaglia da fare per velocizzare le cure e per l’innovazione tecnologica applicata alle malattie rare – ha dichiarato durante il webinar –. Un processo che ha costi altissimi, è vero, ma occorre considerare il risparmio di risorse del sistema sanitario nazionale nel tempo».
Dal 2015, proprio per far fronte ad un impatto economico dirompente, è stato istituito il primo fondo per le malattie rare di 500 milioni di euro. Con la legge 232 del 2016 il fondo è diventato parte integrante del sistema nazionale ed è nato un secondo fondo dello stesso importo per i farmaci oncologici.
«La soluzione dei fondi ha permesso di dare un rapido accesso ai farmaci orfani – ha sottolineato Marcello Pani, direttore della Farmacia ospedaliera del Gemelli di Roma – anche se, numeri alla mano, da gennaio a settembre 2020 il fondo oncologico è arrivato a 800 mila euro e in dodici mesi la domanda risulta più che raddoppiata, mentre il fondo per gli innovativi non ha raggiunto il tetto stabilito dei 500 mila euro. Quindi sarebbe importante poter attuare una compensazione»
«Non dobbiamo lasciare indietro nessuno – ha dichiarato nel suo intervento conclusivo Anna Maria Parente, presidente della Commissione Sanità in Senato -. Per questo occorre investire nella ricerca e una quota del Recovery Fund deve andare in quella direzione. Fondamentale poi è il ruolo delle Regioni come facilitatori dei lavori per l’accesso ai farmaci e alle cure».
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